Abbigliamento, forni, bruciatori, macchine di sollevamento, medicinali, motori e turbine, vini, mobili, auto e accessori auto, macchine speciali per i settori industriali e calzature sono i principali beni che esportiamo nel Regno Unito. Sono i tanti prodotti del nostro “made in Italy” che, alla luce della decisione dei britannici di uscire dall’Ue, potrebbero subire una contrazione con effetti negativi per i rispettivi settori di appartenenza. L’Ufficio studi della Cgia ha elencato le principali 35 voci di prodotto che caratterizzano il nostro export oltre Manica che nel 2015 ha toccato un valore complessivo di 22,4 miliardi di euro, mentre le importazioni hanno raggiunto quota 10,5 miliardi. Di conseguenza il saldo commerciale è stato positivo e pari a 11,9 miliardi di euro. Dalla Cgia si mette in risalto che l’export verso Londra è stato pari al 5,4 per cento del totale e nell’ultimo anno le vendite nel Regno Unito sono aumentate del 7,4 per cento. “E’ difficile prevedere cosa succederà. Nei prossimi 2 anni – ricorda il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia Paolo Zabeo – tra Londra e Bruxelles dovranno essere ratificati 54 accordi commerciali e, salvo sorprese, le transazioni ritorneranno ad essere soggette ai dazi doganali e al pagamento dell’Iva. Non è da escludere, inoltre, la possibilità che vengano introdotte alla dogana barriere non tariffarie che potrebbero ostacolare l’attività commerciale, imponendo agli esportatori livelli particolari di sicurezza e di certificazione dei prodotti. Pertanto, la trattativa tra il Regno Unito e l’Unione europea sarà lunga, complessa, estenuante e dagli esiti attualmente non prevedibili”. A livello territoriale è il Nordest (7,9 miliardi di euro) la macro area più interessata dalle esportazioni in Gran Bretagna. Segue il Nordovest (7,8 mld) il Centro (3,6) e il Mezzogiorno (2,7). A livello regionale, invece, la parte del leone la fanno la Lombardia (5,3 mld di euro), il Veneto e l’Emilia Romagna (ciascuna con 3,4 mld), e a seguire Piemonte (2,3) e Toscana (1,8).

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