Per raccontare la vicenda artistica di Giovanni Antonio Canal, detto Canaletto (1697-1768), partendo da Venezia, protagonista assoluta di questa serie, si rende necessario considerarne dapprima il contesto, il gusto di un’epoca, il Settecento. Nel Compendio delle vite de’ Pittori veneziani Istorici più rinomati del presente secolo del 1762, volume attribuito ad Alessandro Longhi che raccoglie ritratti e brevi biografie di artisti, i vedutisti non vengono citati, eppure l’arte di Canaletto era strettamente legata alla città lagunare e in quegli anni si era già spinta oltre i confini veneziani, diventando celebre in tutta l’Europa settentrionale. Nonostante le critiche (a cui si risponderà in coda a questa intervista) per l’utilizzo della camera ottica, tanto che qualcuno arrivò a definirlo “pittore-fotografo”, Canaletto era conosciuto, apprezzato e desiderato, soprattutto in ambiente aristocratico, da mecenati e collezionisti inglesi (in Inghilterra Canaletto soggiornò e lavorò a lungo) e la sua arte influenzò profondamente quella dei paesaggisti inglesi e pittori topografici. A svelare la relazione tra l’artista e la sua città, è Andrea Tomezzoli, docente di Storia dell’arte moderna del dipartimento dei Beni culturali dell’università di Padova, studioso ed esperto di storia dell’arte del Seicento e Settecento, che “sull’esclusione” del Compendio ha precisato a Francesca Boccaletto per il Bo live, il giornale web dell’ateneo: “Il Compendio è dedicato programmaticamente solo ai pittori istorici, pertanto ne risultano fatalmente esclusi tutti i pittori di genere, dai paesaggisti ai ritrattisti, ai vedutisti, appunto. Non dimentichiamo che nel 1762 Canaletto è già di ritorno dal secondo soggiorno inglese che testimonia, di fatto, la celebrità del pittore il quale contribuisce da protagonista alla diffusione dell’arte veneziana in Europa nel corso del Settecento, uno degli aspetti più qualificanti della cultura figurativa dell’intero XVIII secolo”.”Nei decenni centrali del Settecento, il Vedutismo occupa un posto di primissimo piano nella dinamica dei generi pittorici. E non solo a Venezia: basterebbe pensare al coevo sviluppo della pittura di vedute nell’ambiente romano, al quale il vedutismo lagunare è legato, in particolar modo nella sua fase embrionale. Una parte considerevole di tale fortuna dipende dall’aver Canaletto intercettato – al pari di un’altra straordinaria artista, Rosalba Carriera, sul versante del ritratto – le esigenze del Grand Tour, di quel viaggio di istruzione che identificava in Venezia una delle tappe imprescindibili. La capacità di Canaletto di imprigionare sulla tela, per così dire, non solo l’aspetto monumentale di Venezia, ma la stessa irripetibile atmosfera, in una parola ‘la vita’ della città, ha ben presto fatto diventare il pittore l’interlocutore privilegiato di quanti – viaggiatori, intellettuali, uomini di potere, ricchi turisti o amateurs – ambivano a portare con sé una testimonianza vivida e concreta del loro passaggio nella capitale della Serenissima, senz’altro una delle città più cosmopolite di tutta Europa. Un testimone d’eccezione, il presidente francese Charles De Brosses, in visita a Venezia nel 1739, fissa questo ricordo di piazza San Marco: “I robboni dei nobili, i mantelli, i vestiti de chambre, i Turchi, i Greci, i Dalmati, i Levantini d’ogni specie, uomini e donne, le bancarelle dei venditori di specifici e dei giocolieri, i palchetti dei monaci predicatori e dei marionettisti: tutto ciò, dico, che vi si trova mescolato a tutte le ore, la rende la più bella e la più curiosa piazza del mondo”: un’ekphrasis, si direbbe, di una veduta di Antonio Canal, detto Canaletto”. Per il testo completo leggere il Bo live (ph arch.).

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