Francesco Cortese, chirurgo provinciale della delegazione di Venezia dal 1828 al 1838, vinse, per pubblico concorso, la cattedra di anatomia all’Università di Padova, lasciata vacante alla morte di Floriano Caldani. Nel 1828, in realtà, aveva già vinto un concorso universitario per l’insegnamento di clinica chirurgica, ma non poté assumere il ruolo perché la cattedra fu assegnata, per trasferimento, a Bartolomeo Signoroni, che giungeva da Pavia. Alberto Zanatta e Francesco Thiene sul Bo live,il giornale web dell’ateneo, hanno scritto un testo in cui si segnala che il rettore Cortese collezionava teschi (foto di Massimo Pistore). Cortese e’stato docente di anatomia dal 1838 al 1848 e in seguito supplente alla cattedra di clinica chirurgica alla morte di Signoroni, fra il 1844 e il 1845. Avrebbe ricordato questo periodo come il più gratificante di tutta la sua vita, anche se poté lavorare solo per un decennio nella scuola anatomica padovana, della cui tradizione andava tanto fiero: cosi’ hanno scrityo i 2 autori. Gli eventi del 1848 cambiarono radicalmente la sua vita, rendendolo uno dei più importanti medici militari del periodo risorgimentale. Dal 1815 Veneto e Lombardia erano stati annessi all’Austria come Regno lombardo-veneto. Al principio del 1848, in seguito alle rivolte d’indipendenza in tutt’Europa, in Italia, e soprattutto a Vienna, gli studenti dell’Università di Padova si schierarono per l’indipendenza dagli Austriaci fino al celebre scontro con le milizie straniere l’8 febbraio 1848. Cortese, che in quell’anno era stato eletto rettore, difese apertamente i suoi studenti e il loro gesto di libertà, tanto che “fu annotato nei libri neri della polizia e perseguitato”. A Padova, appoggiato dalle milizie “italiane”, si formò un Comitato di governo al quale partecipò lo stesso Cortese. Dopo questi primi successi, tuttavia, la libertà fu nuovamente repressa, sicché Cortese decise di riparare a Venezia con la famiglia, dove continuava con successo la lotta d’indipendenza. La sua precoce educazione militare ebbe certamente un peso notevole nella nomina a medico del terzo reggimento lombardo, ruolo che ricoprì anche durante la “fatale” battaglia di Custoza. Cortese poi si ritirò dal Veneto e offrì al governo piemontese i suoi servigi, venendo ammesso come chirurgo maggiore dell’ospedale di Torino e successivamente dell’ospedale di Asti. Da quel momento cominciò la sua ascesa professionale come medico militare, che lo vide partecipare alle ulteriori campagne di guerra del 1849 e del 1859-61. Nel 1873, fu nominato presidente del Consiglio superiore di Sanità, carica che mantenne fino al 1880, quando lui stesso chiese di ritirarsi per problemi di salute: una ischemia cerebrale.
Come docente di anatomia a Padova, Cortese si adoperò per la modifica, in parte ancora visibile, del teatro anatomico cinquecentesco e per l’allestimento del museo anatomico ad esso attiguo, del quale oggi rimane solo una curiosa collezione di crani esposta nell’aula di Medicina di Palazzo Bo.
La collezione di crano è composta da resti appartenuti a precedenti docenti dell’Università di Padova. Nel corso degli anni si è tramandata una leggenda, secondo la quale questi professori vollero donare il proprio corpo alla scienza e in virtù di questa generosità i loro crani sono ancora esposti al pubblico. Si tratta, tuttavia, di una storia priva di fondamento. Infatti, Cortese e il suo collega e successore alla stessa cattedra Giampaolo Vlacovich pubblicarono, nel 1881, un articolo dal titolo Di alcuni cranii di scienziati distinti che si conservano nel Museo anatomico dell’Università di Padova e che appartennero alla sua Scuola. In questa memoria, si scopre che Cortese iniziò la collezione per caso, entrando in possesso del cranio di Santorio Santori, docente di medicina teorica a Padova fra 1611 e 1624. Il Santorio era originariamente sepolto presso la Chiesa dei Servi di Venezia e quando questa fu demolita, nel 1812, la cassetta contenente le sue spoglie fu affidata a Francesco Aglietti, noto medico ed erudito veneziano. Già questo fatto consente di provare l’infondatezza della leggenda relativa alla donazione del corpo alla scienza (si precida sul Bo live). La maggior parte dei crani appartenevano a persone che Cortese aveva conosciuto in vita e alle quali era legato da rapporti di stima, a volte persino d’amicizia. Ciò che può sembrare un gesto macabro – quello cioè di conservare una collezione dei crani dei propri amici defunti – veniva esplicitamente dipinto da Cortese come un gesto di rispetto, d’affetto, di riconoscenza, quasi di venerazione. Si deve contestualizzare la collezione di Cortese in un’epoca profondamente diversa dalla nostra, nella quale s’intrattenevano con la morte e con i resti mortali rapporti per noi, ormai. Il testo completo sul Bo live.