Il 63/mo Festival Internazionale di Musica Contemporanea, diretto da Ivan Fedele e organizzato dalla Biennale di Venezia, presieduta da Paolo Baratta, presenta 16 appuntamenti per un totale di 30 prime esecuzioni: 19 assolute (con 12 commissioni della Biennale) e 11 italiane. Il festival dal 27 sett. al 6 ott. Ivan Fedele (foto) ha confermato che il Festival si occuperà eminentemente di alcune delle realtà più interessanti (compositori e interpreti) del “Vecchio Continente” il quale resta un punto di riferimento della musica e, in generale, della cultura del nostro tempo. Un continente che non ha cessato di porsi domande cruciali riguardo all’arte e alla sua relazione con il proprio presente e che, ancora oggi, è protagonista di molteplici spinte propulsive che investono gli ambienti artistici di tutto il mondo. In accordo con questo tema è George Benjamin, Leone d’Oro alla carriera 2019 a inaugurare il 63. Festival Internazionale di Musica Contemporanea il 27 settembre con il suo primo lavoro operistico di ampio respiro salutato come un capolavoro: Written on Skin, eseguito dall’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, diretta da Clemens Schuldt(foto). Realizzato nel 2012 per il festival di Aix-en-Provence, Written on Skin – che accanto al compositore britannico più osannato dal mondo della musica internazionale vede Martin Crimp per il libretto e Katie Mitchell alla regia, la scena anglosassone più avvertita – ha avuto tre anni di programmazione e cinque diverse realizzazioni dopo quella inaugurale. E se da un lato George Benjamin rivitalizza il teatro musicale con una magistrale operazione di “raccordo” con il passato (fin dalla storia che attinge alla vita e all’infelice amore del leggendario poeta trobadorico Guillem de Cabestaing), dall’altro il compositore franco-greco Georges Aperghis, rinnova radicalmente la pratica musicale creando un proprio universo surreale e polifonico dove tutti gli ingredienti – vocali, strumentali, gestuali, scenici, tecnologici – traslati dall’uno all’altro contesto si integrano. Come accade in Thinking Things, l’ultimo lavoro di Aperghis in prima italiana a Venezia, scritto per quattro interpreti, estensioni robotiche, video, luci ed elettronica. L’uomo e la macchina, la nuova coabitazione imposta all’uomo dalla sua creatura non sono proposte nella tradizionale visione apocalittica ma con humour e fantasia che fanno pensare al mondo magico di Méliès più che a Metropolis. Accanto ai maestri, molte proposte in programma al Festival ad opera delle nuove generazioni sembrano uscire sempre più dal proprio perimetro per incontrare altre modalità di espressione. Eclettismo, commistioni inedite, giustapposizione di materiali e influenze in modi sempre diversi e sempre nuovi sembrano caratterizzarle.
Ci sono accostamenti strumentali impensabili che cortocircuitano ambiti tradizionalmente diversi, come in Songbook, che unisce un quartetto rock, un ensemble classico amplificato e il live electronics, progetto firmato dal suo autore-performer Matteo Franceschini, premiato con il Leone d’Argento, e realizzato incrociando gli interpreti dell’Icarus Ensemble e del Cantus Ensemble di Zagabria. Ultimo tassello di un trittico intitolato Live che intende unire ”la complessità, profondità e ricchezza della scrittura contemporanea (la pagina ‘scritta’) con l’energia ‘illimitata’, l’impatto visionario e la ricerca costante di nuove sonorità proprie di un electro-rock live set” (M. Franceschini). Ci sono poi apparentamenti tra strumenti lontani nel tempo e nello spazio che si integrano e reinventano la musica come in Nomaden, opera del compositore olandese residente ad Amsterdam Joël Bons premiata con il Grawemeyer Music Award 2019, il Nobel della musica. Composto per il grande violoncellista Jean-Guihen Queyras e l’Atlas Ensemble, che raccoglie 18 musicisti da Cina, Giappone, Medio Oriente, Asia Centrale ed Europa, Nomaden incorpora una vastissima gamma di strumenti – dal duduk armeno al setar iraniano e al kamancha azerbaigiano, dall’ehru cinese allo shakuhachi giapponese e al sarangi indiano – e la loro, per lo più sconosciuta, tavolozza timbrica. Un lavoro che per Bons, che vede l’arte come creazione interculturale, è un punto di arrivo dopo 14 anni passati a esplorare insieme all’Atlas Ensemble, di cui è fondatore, queste possibilità. Un concerto per arpa ed elettronica per scoprirne le seduzioni nel connubio fra sonorità apparentemente distanti e contrastanti è la proposta di Emanuela Battigelli. Da un lato uno degli strumenti più affascinanti che incarnano l’armonia e anche uno dei più antichi, con migliaia di anni di storia alle spalle e alterne fortune nella storia della musica, capace di coprire tanti generi – classica, folk, pop – ma ancora oggi usato con parsimonia. Dall’altro le potenzialità dell’elettronica che caratterizza la ricerca della musica dal secondo novecento a oggi. L’arpista Battigelli, notevole solista e in formazione da camera oltre che in collaborazione con importanti orchestre come Berliner Philharmoniker, London Philharmonia, Orchestra del Teatro alla Scala, impagina un concerto con tre nuovi pezzi commissionati dalla Biennale a Michele Sanna, Daniele Bravi, Maurizio Azzan, una prima italiana di Malika Kishino e un brano di Daniela Terranova.
“Rendere in musica il cuore emotivo della parola” è ciò che può accomunare il repertorio antico alla creazione contemporanea. Come nella giustapposizione della Missa da cappella a sei voci di Claudio Monteverdi sul mottetto In illo tempore del Gomberti alla composizione di Gianvincenzo Cresta per sei voci ed elettronica, che debutta in prima assoluta alla Biennale, e intitolata al testo di Giordano Bruno De l’infinito, universo e mondi da cui estrapola alcuni brani. “Le due opere sono vicine nella genesi, cioè nel processo compositivo, e nella prassi, cioè nella scelta soggettiva di accostare il suono delle voci umane a suoni artificiali” (dalle note al progetto). A eseguirlo sono l’ensemble vocale Spirito di Lione, diretto da Nicole Corti, affiancato per Monteverdi da I Ferrabosco, consort specializzato nella polifonia italiana sacra e profana, e per Cresta, dall’elettronica curata da Francesco Abbrescia.
Anche lo spazio di ascolto della musica si trasforma con interpreti-performer, ambienti sonori scenografici e installazioni multimediali immersive.
Così è pensato il concerto di Filippo Perocco e Lucia Ronchetti, due fra le voci più riconosciute della musica contemporanea italiana, interprete l’ensemble L’arsenale, premio Abbiati 2016, diretto dallo stesso Perocco. Due nuovi brani commissionati dalla Biennale, due lavori indipendenti che condividono una comune matrice “teatrale” con i testi del poeta e saggista russo-americano Eugene Ostashevsky, oltre all’apporto scenografico e registico di Antonino Viola e Antonello Pocetti. Anche il concerto del complesso fiammingo HERMESensemble, fondato nel 2000 dal direttore Koen Kessels, è un viaggio al confine tra arte e musica contemporanea. I lavori in programma di Wim Henderickx e Vykintas Baltakas sono concepiti con l’artista visivo e musicista newyorchese Kurt Ralkse. Non diversamente, l’opera che Annelies Van Parys presenta alla Biennale nasce da un profetico lungometraggio del 1932 – Histoire du soldat inconnu – del filmmaker belga Henri Storck. Un progetto particolare è affidato a I Solisti Aquilani con un concerto legato ai dieci anni che ci separano dal sisma del 2009. Formazione storica, nata nel solco della rivalutazione del patrimonio strumentale italiano sei-settecentesco e attiva da più di 50 anni con un repertorio che spazia dalla musica pre-barocca alla musica contemporanea, I Solisti Aquilani hanno sempre avuto particolare riguardo ai compositori italiani. Così il concerto impagina tutti nuovi brani che Stefano Taglietti, Andrea Manzoli, Roberta Vacca, Pasquale Corrado – a Venezia in veste anche di direttore – hanno composto in memoriam. Formazioni di rilievo internazionale sono invitate al Festival con concerti che mettono a confronto stili, linguaggi, generazioni diversi: il Quartetto Prometeo, un quartetto d’eccellenza con una qualità interpretativa riconoscibile, premiato con il Leone d’Argento nel 2012, e che ha appena inserito nel suo organico Danusha Wasklewicz, prima viola dei Berliner Philarmoniker, presenta un trittico composto da Marco Momi, Georges Aperghis e Alessandro Solbiati; l’israeliano Meitar Ensemble, che in 15 anni di vita ha commissionato ed eseguito oltre 200 nuovi brani, offre tutte novità per l’Italia con brani di Philippe Leroux, Noriko Baba, Mauro Lanza, Amos Elkana, Philippe Hurel; fondato dal compositore argentino naturalizzato spagnolo Fabián Panisello e specializzato nella musica contemporanea, il Plural Ensemble impagina un concerto che attraversa la musica spagnola – da Luís de Pablo a Gabriel Erkoreka, Alberto Posadas e José María Sánchez-Verdú e lo stesso Panisello. L’Orchestra della Toscana, infine, fondata da Luciano Berio nel 1980 e naturalmente votata alla musica contemporanea, a Venezia sarà diretta da Peter Rundel in un concerto con pagine dei migliori autori del nostro tempo: Michel Van der Aa, Wolfgang Rihm, entrambi con prime italiane, e Claudio Ambrosini con un brano nuovo commissionato dalla Biennale. àDopo il successo dello scorso anno di Victor Wooten, campione del basso elettrico, quest’anno arriva dall’India una delle più grandi e più giovani virtuose di questo strumento: Mohini Dey, classe 1996, straordinaria bassista indiana dal talento precocissimo, cresciuta in una famiglia devota alla jazz fusion e alla musica classica. Perché è anche attraverso il jazz – anzi, più facilmente attraverso il jazz che attraverso la musica classica – che passa una corrente alternata di sonorità tra occidente e oriente, “migrazioni” che alimentando trasversalità, innovazione e creatività (John McLaughlin e Trilok Gurtu, per fare un esempio). Sarà un concerto fusion dal ritmo incalzante, dove al basso elettrico di Mohini Dey ruotano attorno le tastiere di Louis Banks, la batteria di Gino Banks, il mandolino U Rajesh e il ghatam di Giridhar Uddupa. Un sound che mescola jazz e rock, ma anche ambient e world music caratterizza il Malafede Trio, ospite di jazz club e dei festival più importanti d’Europa. Il trio si è formato soltanto quattro anni fa da Federico Malaman, un asso del basso elettrico, ma anche contrabbassista e arrangiatore, dal chitarrista Riccardo Bertuzzi, e dal batterista Ricky Quagliato, anche compositore e programmatore musicale. Nel 2016 nasce Touché, il primo disco tutto di inediti. Dall’anno del suo avvio, nella stagione 2013, Biennale College per il Settore Musica ha scelto come tema privilegiato il teatro musicale. Ad oggi sono state realizzate 15 brevi opere e la loro presentazione è ormai appuntamento fisso del Festival.

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