“L’uomo è ciò che mangia’. Così titolava un celebre saggio ottocentesco del filoso tedesco Ludwig Feuerbach. E se fosse realmente così, soprattutto guardando al futuro, non ci sarebbe da stare poi così tranquilli. Sta accertato che i precursori della dieta mediterranea sono stati gli antichi greci. Venendo ai ns.giorni, ci sono le stime ONU che segnalano che a popolazione nel mondo nel 2050 raggiungerà quasi i 10 miliardi di persone, una cifra così elevata che già da tempo ha imposto a enti, paesi, governi e organizzazioni, alcune fondamentali considerazioni sulla necessità di introdurre nuovi modelli alimentari e nuove tecnologie capaci di sfruttare in modo sostenibile le risorse del pianeta e contemporaneamente garantire alla popolazione tutta un livello di nutrizione adeguato. Oggi in diversi paesi del mondo l’insostenibilità degli allevamenti tradizionali, per il grande consumo di acqua e terreno che richiedono e per l’alto livello di inquinanti che producono, sono considerati molto pericolosi. Così come la deforestazione e la desertificazione di intere aree provocate dagli animali al pascolo o i sempre più diffusi impianti di acquacoltura che velocemente degradano l’ambiente marittimo.Francesca Forzan su Bo Live, il giornale web dell’ateneo di Padova, ha scritto un testo (foto unipd). Di fronte a prospettive così poco rassicuranti quale sarà quindi il cibo del futuro? Da tempo si pensa che la risposta possa venire dagli insetti che diverse popolazioni, soprattutto nei paesi africani, asiatici e dell’America Centrale, già utilizzano a scopo alimentare. Ricchi di proteine di alta qualità ma anche di sali minerali e vitamine, gli insetti sono anche ecosostenibili poiché si possono allevare con un basso dispendio di acqua ed energia. In Europa la loro vendita e utilizzo a scopo alimentare sono disciplinate dal Regolamento sul Novel Food 2015/2283 approvato nel 2015. Mentre in Italia, dove si pensava che con il nuovo anno si sarebbe arrivati alla libera commercializzazione, si dovrà attendere ancora un po’ prima di poter immaginare un vero e proprio commercio attivo di questi alimenti.
“Alcuni Paesi europei – ha spiegato Stefania Balzan, ricercatrice al dipartimento di Biomedicina comparata e alimentazione dell’università di Padova – negli anni scorsi hanno consentito la commercializzazione di questi prodotti all’interno dei loro territori; in Italia invece, dove il concetto di sicurezza alimentare spesso ancora prevale sullo sviluppo tecnologico, il ministero della Salute ha di recente pubblicato una nota informativa che ribadisce ancora il divieto di vendita di ogni tipo di insetto o suo derivato fino a che non sarà rilasciata un’autorizzazione europea”.
“Ma la soluzione alla fame nel mondo potrebbe arrivare anche dalla tecnologia. Già da anni, infatti, nuove tecnologie vengono utilizzate per creare carne e pesce ‘coltivati’ in laboratorio a partire da cellule staminali estratte dagli animali. Secondo uno studio dell’università di Oxford, rispetto alla carne prodotta in Europa con i sistemi attuali, quella sintetica potrebbe garantire un risparmio di energia dal 7 al 45%, la diminuzione delle emissioni di CO2 fino al 96%, la riduzione dell’uso dei terreni del 99% e dell’acqua del 90%. “Dal punto di vista della sicurezza – spiega Balzan – questi cibi possono essere ancora più sicuri di quelli che mangiamo oggi, perché molto controllati. Ma è importante tener conto che per un cibo che richiede una coltura cellulare, questa, a sua volta, richiede ulteriori sostanze. Da un lato quindi le potenzialità di queste tecniche sono vastissime dall’altro bisogna capire cosa c’è davvero alla base di quella produzione, quali sono le incognite e se davvero l’uso di questo prodotto si può immaginare su larga scala”. Sono molti ancora i ‘cibi del futuro’ già testati e, in certe forme, già immessi nel commercio. Le alghe ad esempio, e in particolare alcune tipologie di micro alghe, sono alimenti completi dal punto di vista nutrizionale e già utilizzati negli integratori alimentari o inserite in altri alimenti sotto forma di farine. Ma anche le meduse, comuni nella cucina dei Paesi del Sud Est asiatico. Contro la fame nel mondo, oltre alla scoperta di nuove fonti, esiste tuttavia un’altra interessante alternativa che passa per il recupero di quelli che vengono definiti ‘sotto prodotti’, cioè quei materiali di scarto che vengono eliminati durante i processi di lavorazione. “Attualmente – ha raccontato la ricercatrice padovana – stiamo lavorando con l’università di Perugia sui prodotti di scarto che derivano dalle acque di vegetazione del frantoio, quei residui cioè che provengono dalla spremitura delle olive. Stiamo cercando di trovare metodi alternativi per non disperdere una miniera di sostanze importantissime, utilizzando il prodotto fino all’ultimo, ottimizzandone ogni parte”. Alcune aziende lavorano già da tempo alla realizzazione di prodotti di vario genere (moda, arredamento, design) a partire dagli scarti alimentari ricavando, ad esempio, abiti e tessuti dal siero di latte o dai fondi di caffè, vasi e tazzine dalle foglie di tè o dal guscio degli arachidi e così via. Le strade che possono portare a nuove forme alimentari salutari e allo stesso tempo rispettose dell’ambiente in cui viviamo sono molte ma la prima, e più importante, passa sicuramente per una nuova cultura del cibo che sia capace di modificare gli stili di vita, le identità sociali e il mercato.
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