Credere nell’estate di San Martino dopo questi giorni di tempo terribilmente inclemente è forse difficile, eppure prima dell’11 novembre, o subito dopo, qualche calda giornata di sole sicuramente ci sarà, perché l’estate di San Martino bene o male si rinnova ogni anno. L’11 di novembre chi va in giro per Venezia può imbattersi ancora in gruppi di ragazzini che battono pentole e coperchi per festeggiare San Martino (raccogliendo qualche euro). La festa di San Martino a Venezia è di lunga tradizione (nella foto la chiesa). Il culto di questo Santo è molto antico. La leggenda narra che un giorno freddo e piovoso Martino, soldato dell’impero romano, alle porte della città di Amiens durante una ronda notturna nell’inverno del 335 incontrò un mendicante seminudo. Martino prese il suo mantello, lo tagliò in due e ne diede la metà al poveretto, poi continuò a galoppare nel vento gelido. Ad un tratto spuntò il sole e stranamente incominciò a fare caldo. Da qui l’estate di San Martino. Durante la notte Martino sognò Gesù che lo ringraziava e gli restituiva la metà del mantello, significandogli che il mendicante incontrato era Lui in persona. Quando Martino si risvegliò il suo mantello era integro. Dopo quella notte si convertì al cristianesimo. Nato intorno al 317 da genitori pagani, nativo nella colonia di Claudia Sabaria in Pannonia, lasciate le armi, condusse presso Ligugé vita monastica sotto la guida di sant’Ilario di Poitiers. Ordinato sacerdote ed eletto vescovo di Tours, fondò monasteri e parrocchie nei villaggi, evangelizzando i contadini e divenendo famoso in tutta la Gallia. Morì a Candes sempre in Francia, l’8 novembre 397. E’ anche considerato il patrono dei soldati. Il culto di San Martino è diffuso in tutta Europa fin dal IV secolo. E’ venerato come santo dalla Chiesa cattolica, da quella ortodossa e da quella copta. Nelle culture francofone e nei paesi anglosassoni, l’estate di San Martino viene chiamata Indian Summer (“estate indiana”). Nell’emisfero australe, con le stagioni invertite rispetto alle nostre, il fenomeno si osserva tra fine aprile e inizio maggio. In Italia l’estate di San Martino ha dato vita a celebri componimenti poetici come “San Martino” di Giosuè Carducci, con gli storni di uccelli che vagano nel cielo simili ai pensieri, o “Novembre” di Giovanni Pascoli, con il fragile cader delle foglie. Ma nella cultura popolare questo particolare momento dell’anno è associato soprattutto al detto “fare San Martino”. La festa, collocata alla fine dell’annata agricola e al principio della stagione invernale, ha dato origine a molte tradizioni legate al mondo rurale. In questi giorni si completa la raccolta dei frutti, il mosto ribolle nei tini, I boschi sono ricchi di selvaggina, funghi, castagne, nespole. Tutto ciò è occasione di incontri e di festa. Un tempo finiva in molte zone del nord l’anno lavorativo dei contadini e si rinnovavano i contratti di affitto dei fondi rustici, dei pascoli, dei boschi. Però se il padrone non chiedeva ai contadini di restare a lavorare anche l’anno dopo, questi dovevano traslocare e andare a cercare un altro padrone e un altro alloggio. Il detto “fare San Martino” significa appunto traslocare. La festa di San Martino è una ricorrenza celebrata in tutta Italia, caratterizzata da diverse usanze regionali che risalgono ai tempi passati. In Veneto è molto sentita, soprattutto a Venezia, Mestre e dintorni, dove l’immagine di San Martino a cavallo finisce in pasticceria: con la pasta frolla viene modellata la forma del santo a cavallo munito di spada e mantello, guarnito con glassa di zucchero colorata, praline, caramelle e cioccolatini. E’ una tradizione del tutto locale, e portare questo dolce in regalo in qualche altra città è cosa che viene apprezzata. Molte altre sono le tradizioni legate a San Martino. L’usanza più nota legata all’11 novembre è quella di consumare il vino nuovo con le caldarroste, ma in alcune zone d’Italia si è soliti cucinare anche l’oca che, secondo la leggenda, avrebbe tradito il Santo. Sembra che Martino non volesse diventare vescovo. Per nascondersi alla cittadinanza di Tours che lo acclamava, si rifugiò in un pollaio pieno di oche, che però lo tradirono starnazzando più del solito e attirando il popolo verso il suo nascondiglio. Da allora si diffuse la tradizione di mangiare l’oca in occasione della ricorrenza. All’estero questa abitudine è particolarmente diffusa in Svezia, Danimarca, Boemia, Svizzera e Germania. In Italia il consumo dell’oca il giorno di San Martino si ritrova in Friuli, Veneto, Lombardia e Romagna. (ODM)