Al Festival dello Sport il racconto dell’avventura di Bonatti con Hervé Barmasse e Andrea Monti
“Una montagna scintillante” di fatica e di coraggio. Sessant’anni fa una spedizione italiana, della quale faceva parte Walter Bonatti, raggiunse la vetta del Gasherbrum IV (7980 m). Fu un’impresa eccezionale, tra le nevi perenni del Karakorum, costellata di difficoltà estreme, una delle grandi pagine della storia delle scalate himalayane. Il libro “La montagna scintillante”, uscito postumo, è il racconto scritto dal grande alpinista al ritorno dall’avventura. Una storia rimasta nascosta per decenni che oggi, al Festival dello Sport, l’alpinista Hervé Barmasse, nato e cresciuto ai piedi del Cervino, e il direttore della Gazzetta dello Sport Andrea Monti, hanno voluto ripercorrere (foto Prov.Tn). Nel bookstore di piazza Dante, che ha faticato a contenere il numeroso pubblico, si è rivissuta l’impresa leggendaria ma si sono anche tracciati i confini di quello che oggi dovrebbe essere l’alpinismo: “Dobbiamo portare rispetto – sono state le parole di Bermasse, salutate da un lungo applauso – alle alte terre del mondo. La montagna non è un campo da gioco, è un posto dove non sfidiamo gli altri ma noi stessi”. Come spiega Monti, la scalata del Gasherbrum IV richiese alla cordata di punta, formata da Walter Bonatti e Carlo Mauri, il superamento di tratti difficilissimi; fu una lotta durissima, al limite dello sfinimento, anche a causa delle terribili condizioni meteorologiche, al punto che Bonatti parlò di “fatica immane”, arrivando a maledire la montagna. Da allora ad oggi, almeno per gli alpinisti più celebri, non è cambiamo molto: “L’approccio di allora era pionieristico – commenta Barmasse – ma ancora oggi i grandi alpinisti, saranno una ventina in tutto il mondo, scalano le cime più elevate e impegnative senza ossigeno. Si parla di stile alpino, ovvero salire e scendere le montagne solo con l’attrezzatura che ci si porta dietro”. E invece ormai da anni: “Sentiamo dire che le montagne vengono sporcate, i campi base sono abbandonati con tutta l’attrezzatura – prosegue Barmasse -. Sappiamo per esempio che nelle acque della valle dell’Everest sono state trovate le stesse microparticelle di plastica che inquinano i nostri oceani”. Per questo è sempre più necessario portare rispetto alla montagna, abbracciare “l’idea di rinuncia”, che lo stesso Bonatti più volte riportava nei suoi scritti. “Per me le montagne sono tutta la mia vita – sono le conclusioni di Barmasse, stimolato dal direttore Monti – non dobbiamo mai dimenticare l’etica dell’alpinismo, è esplorazione dei limiti dell’uomo, è esplorazione geografica e, soprattutto, ci si mette in gioco per sé stessi, non certo per gareggiare con qualcun’altro, perché quando ci si mette in gioco per sfidare gli altri cade il significato della montagna. Con l’alpinismo ci giochiamo la vita”.
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