Il settore, che genera un valore di quasi un miliardo di euro, deve guardarsi anche pericoli nuovi. Serve sempre innovazione e va migliorato il rapporto con la GDO. Gli attacchi alieni che il settore ortofrutticolo veneto sta subendo in questo periodo sono il segnale che, seppur esso continui ad essere una delle punte di diamante su base nazionale, è necessario continuare ad operare nella direzione dell’innovazione e della ricerca. E già, perché le cimici asiatiche e i moscerini scientificamente chiamati Drosophila suzukii Matsumura, due delle tante novità che hanno messo sotto scacco le nostre colture, sono extracontinentali ed ecco perché aliene. Questo e molto altro è emerso inella sede di Veneto Agricoltura, al nuovo Tavolo dell’ortofrutta veneto, indetto dalla Regione e dalla sua Agenzia per l’innovazione nel settore primario, con l’intento di ottimizzare e sinergizzare i soggetti della filiera: la ricerca (Università, CREA), i produttori (le Organizzazioni professionali agricole), la commercializzazione (OP e Mercati). Del resto il settore è tra i più interessanti dal punto di vista economico, capace di produrre un valore di quasi un miliardo di euro. Ecco alcuni numeri significativi, frutto delle elaborazioni dei tecnici del Settore studi economici di Veneto Agricoltura. Superficie a colture orticole in Veneto nel 2017: circa 27.600 ettari (+1% rispetto al 2016), di cui circa il 75% (20.500 ettari, +2%) in campo aperto. Per il resto, le superfici coltivate a piante da tubero (patata comune e patata dolce) sono state 3.100 ha (+5%), mentre le orticole in serra sono stimate a circa 4.000 (-6%). Il valore della produzione di patate e ortaggi (dati Istat) è stato pari a circa 600 milioni/€, +5% sul 2016. Il radicchio, con circa 7.500 ettari (-3%) è la prima coltura orticola, occupando il 27% degli investimenti regionali, seguito da pomodoro da industria (2.490 ha, +19%), asparago (1.740 ha investiti, +9%) e lattuga (1.500 ha, -8%). L’export dal Veneto di ortaggi e legumi, secondo la banca dati Coeweb dell’Istat, ha raggiunto nel 2017 i 391 milioni di euro (+7,8% rispetto al 2016), a fronte di importazioni per un valore di 360 milioni di euro (+1,6%) per un saldo positivo di circa 31 milioni di euro, quasi quadruplicato rispetto al 2016. Le superfici frutticole si sono attestate nel 2017 a circa 17.800 (+1%), per un valore della produzione di circa 257 milioni (-12% rispetto al 2016) a causa soprattutto delle condizioni climatiche della primavera 2017 (gelate tardive). Il melo è la prima coltura con circa 6.100 ettari investiti (5.750 in produzione), seguito dal kiwi (3.600 ha, -3,6%) e dal pero (3.050 ha, -2,7%). Le esportazioni di frutta fresca sono state pari a circa 455 milioni di euro nel 2017, in crescita del +3% rispetto all’anno precedente, mentre le importazioni sono state circa 375 milioni di euro. Il saldo è stato dunque positivo (80 milioni di euro), anche se si è ridotto di circa 13 milioni rispetto al 2016. Uno dei punti centrali della discussione è stato quella del rapporto con la Grande Distribuzione organizzata, che ormai spadroneggia nel rapporto con il consumatore. Ma anche nel rapporto con la GDO si deve intervenire, cosa che già sta succedendo anche grazie al valore aggiunto apportato dalle DO, denominazioni di Origine (DOP e IGP), che permette al prodotto di passare da “commodity a speciality”, spuntando così un prezzo maggiormente remunerativo grazie alle riconosciute caratteristiche di qualità e salubrità veicolate dal marchio europeo, meglio se controllato da un ente certificatore di primo livello come il CSQA.