In Italia da circa 20 anni si sta combattendo il West Nile virus; va ricordato che risale al 1998 il primo focolaio della malattia nella zona umida di Padule di Fucecchio in Toscana, con 14 casi di cavalli contagiati. A dieci anni di distanza da questo primo evento, il contagio è arrivato anche all’uomo, contando 8 casi di malattia neuro-invasiva provocata dal virus tra le regioni dell’Emilia Romagna, del Veneto e della Lombardia. Dal 2008 a oggi il numero di persone infettate dal West Nile è in continuo aumento, raggiungendo quest’anno 125 casi accertati di contagio, secondo il monitoraggio svolto dal Centro nazionale per la prevenzione delle malattie e la promozione della salute dell’Istituto superiore di sanità monitora ogni estate la situazione italiana. Il numero, tuttavia, potrebbe aumentare dato che la stagione con il maggior rischio di trasmissione non si è ancora conclusa. Di questo fa il punto Francesca Bastianion sul Bo Live, il giornale web dell’università di Padova. Si sa che si sta studiando un vaccino per l’uomo contro il West Nile; nel caso degli equini sono presenti diversi vaccini, in Italia sono autorizzati al commercio solamente i vaccini inattivati e quelli ricombinati. Ciò che rimane da fare è lavorare sulla prevenzione, proteggendosi dalle punture ed evitando la riproduzione delle zanzare, utilizzando repellenti adatti ed evitare ristagni d’acqua. Il numero di esseri umani contagiati dal virus del Nilo occidentale in Italia, dal primo focolaio ai giorni nostri, è di 247 in 9 regioni italiane: data la complessità del virus, il Ministero della Salute ha istituito una sorveglianza integrata, sia in ambito medico che veterinario, a livello nazionale, attiva dal 2011 quando il virus si è esteso in più regioni, ha scritto Bastianon. La sua circolazione coinvolge non solo gli uomini ma anche gli uccelli, in particolare appartenenti alla specie bersaglio come gazze, cornacchie grigie e ghiandaie, i mammiferi, in particolare gli equini, e gli insetti. Il virus è stato isolato – per la prima volta – nel 1937 in Uganda, nell’area denominata West Nile, e appartiene alla famiglia dei Flaviviridae. La puntura di zanzara infettata, più frequentemente del genere Culex, rappresenta il principale mezzo di diffusione. Il ciclo di trasmissione del virus è di tipo endemico, cioè localizzato in un determinato territorio: una volta che il virus viene ingerito dalla zanzara, questo è in grado di diffondersi nell’organismo e arrivare alle ghiandole salivari, per poi essere trasmesso nuovamente ad altri ospiti. L’amplificazione del contagio è causata in particolare dagli uccelli che svolgono la funzione di ospite del virus; i mammiferi, come l’uomo e il cavallo, rappresentano invece ospiti accidentali a fondo cieco, poiché il virus non riesce a raggiungere concentrazioni sufficientemente elevate nel sangue da infettare le zanzare. Nonostante questo, sono stati documentati contagi interumani dovuti a trasfusioni di sangue e trapianti di organi o tessuti: per questo motivo che ogni donazione di sangue è soggetta alle misure per la prevenzione della trasmissione trasfusionale, previste dal Centro nazionale Sangue e rinnovate ogni anno in base alla positività su un campione di zanzare di una determinata area. Il periodo di incubazione, cioè il momento che intercorre fra l’infezione e lo sviluppo dei primi sintomi, varia tra 2 e 14 giorni ma può anche allungarsi in pazienti con deficit a carico del sistema immunitario. Tuttavia, la maggior parte delle persone infette non dimostra alcun sintomo. Nel momento in cui la malattia si manifesta, circa il 20 % dei casi a livello mondiale, i pazienti accusano febbre, mal di testa, nausea, vomito, linfonodi ingrossati e sfoghi cutanei, con una durata compresa tra pochi giorni e qualche settimana. La situazione si aggrava quando siamo di fronte ad anziani, bambini piccoli e persone con alterazioni del sistema immunitario: in questi casi si possono riscontrare effetti neurologici anche permanenti, fino al decesso ma rappresentano l’1% delle persone infette.
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