In non pochi laboratori del mondo gli occhi sono puntati sul processo di fotosintesi clorofilliana che trasforma energia luminosa in energia chimica. Uno di questi è il Nano & Molecular Catalysis Laboratory@University of Padova, coordinato da Marcella Bonchio del dipartimento di Scienze Chimiche, che da tempo conduce studi in questo settore. Suo e del suo team il merito di aver riprodotto artificialmente lo stadio centrale della fotosintesi: il meccansimo con cui la semplice molecola di acqua diventa ossigeno.
“La natura – ha osservato la docente in una dichiarazione pubblicata da Bo Live, il giornale web dell’ateneo di Padova – lavora con sistemi complessi, ordinati, dinamici e cooperativi e per riprodurli in laboratorio bisogna cercare questa sinergia di azione tra i diversi componenti: insieme producono una funzione che non è la semplice somma del tutto. Abbiamo preso in considerazione alcuni processi importanti che sono la produzione di energia da fonti rinnovabili come la luce del sole e ci siamo concentrati in particolare su un sistema perfetto che è quello della fotosintesi”. Lo studio ha preso avvio circa dieci anni fa. È stato un lavoro difficile e ha richiesto l’energia dell’impegno di molti giovani collaboratori. Se la nostra civiltà oscura e nervosa, basata sul carbone, sarà seguita da una più mite basata sull’utilizzo dell’energia solare, questo non sarà certo di ostacolo al progresso e alla felicità. La prima cosa che abbiamo voluto fare è capire se potevamo riprodurre in laboratorio il ‘cuore’ della fotosintesi: il centro di evoluzione dell’ossigeno. Si tratta di un catalizzatore, ovvero un sistema fatto da quattro atomi di manganese legati da ponti ossigeno, che riesce a scindere la molecola di acqua”. Bonchio ha ricordato in modo molto nitido, i primi passi mossi a Padova nel suo laboratorio e gli ostacoli incontrati nel corso delle ricerche. “La cosa difficile era avere un sistema che non solo fosse strutturalmente simile all’enzima naturale, ma che potesse lavorare e funzionare in “provetta”: una foglia artificiale in grado di utilizzare l’acqua e scinderla in ossigeno, elettroni e protoni”. Nel corso degli anni il gruppo padovano ha esplorato un largo spettro di possibilità per cercare di riprodurre questo sistema, considerando non solo il manganese, che è utilizzato in natura, ma altri possibili sostituti di tale elemento. “Siamo riusciti a isolare questo complesso artificiale che ha una somiglianza sorprendente con il sistema naturale, ma utilizza atomi di rutenio. Questo elemento è molto più costoso e non è così presente come il manganese sulla crosta terrestre. Però è robusto, veloce, efficace”. La molecola può essere facilmente sintetizzata in laboratorio e prodotta su larga scala, ma rimane un problema aperto: riuscire a sostituire il rutenio con un metallo più abbondante in natura e quindi meno costoso. “Al momento stiamo lavorando su sistemi di manganese, ma anche di ferro e cobalto per riuscire ad aumentare l’interesse per queste molecole sintetiche. Riusciremo infatti a utilizzarli per produrre energia da fonti rinnovabili se i nostri catalizzatori, cioè i nostri sistemi artificiali, saranno anche competitivi dal punto di vista della sostenibilità economica, e questo dipende anche dai costi relativi alla performance del sistema”.I ricercatori sono riusciti a trasferire questo sistema su elettrodi, cioè su dispositivi che possono essere utilizzati in ambiente artificiale. Ora però si deve chiudere il cerchio: bisogna accoppiare questo primo sistema con una seconda reazione importante: si deve riuscire a intrappolare l’anidride carbonica proveniente dall’atmosfera o da altre fonti, per poi convertirla in combustibili a base di carbonio, come metano, e miscele di idrocarburi e di alcoli che possono essere usati come vettori energetici. “Anche questo secondo processo di trasformazione dell’anidride carbonica è di difficoltà formidabile perché l’anidride carbonica è una delle molecole più stabili e dunque è difficile letteralmente ‘piegarla’ ai nostri usi. Eppure, la natura ci riesce in condizioni veramente facili e anche in questo caso è stato il nostro punto di partenza”. Il gruppo coordinato da Bonchio lavora in collaborazione con diversi laboratori in tutta Europa, dalla Spagna all’Inghilterra, e in America, da Princeton a Pittsburgh. “L’apertura alle collaborazioni internazionali – ha aggiunto la docente – ha un valore altissimo, perché si entra in contatto con la frontiera della ricerca, con i risultati che stanno raggiungendo altri laboratori nel mondo. È una dimensione che arricchisce e spinge a un miglioramento continuo. E soprattutto serve a stabilire un confronto continuo su argomenti che richiedono un pensiero globale, l’intelligenza e la passione di tutti”. Era il 1912 quando Giacomo Ciamician, presidente della Società italiana per il progresso delle scienze, pronunciava queste parole durante una conferenza tenuta a New York. Un discorso lungimirante se si considera che oggi l’esaurimento dei combustibili fossili e l’inquinamento determinato dal loro utilizzo rendono necessario lo sviluppo di nuove tecnologie per ottenere energia rinnovabile e sostenibile sul piano economico. La quantità di energia che proviene dal Sole e che raggiunge la superficie terrestre in un anno è enorme, nell’ordine di grandezza di 1018 KWh (chilowatt-ore), corrispondente a circa 70 mila miliardi di tonnellate di petrolio. Il sogno di Giacomo Ciamician anticipava quello che oggi è una frontiera della ricerca: la produzione di “combustibili solari”. Riuscire a sfruttare l’enorme potenziale dell’energia solare è una sfida globale, ambiziosa e urgente, che deve risolvere i problemi della dispersione, diffusione e intermittenza connessi alla natura della radiazione solare. L’obiettivo fondamentale è quello di riuscire ad “immagazzinare” la luce solare proprio utilizzandola per la sintesi di molecole ricche di energia: i combustibili solari. Questo processo avviene continuamente e sotto i nostri occhi, ad opera delle piante verdi. Le foglie sono dei veri laboratori chimici, equipaggiati con strumenti e sistemi molto sofisticati, non disponibili attualmente nella loro perfezione in nessun laboratorio costruito dall’uomo, e che realizzano il processo più indispensabile all’uomo: convertire la luce del sole in energia per la vita. (photo ateneo Padova).
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