La comunità scientifica sta lavorando alla pianificazione di un acceleratore di particelle che mira a far collidere muoni e a studiarne le interazioni. Il muone è una particella fondamentale, simile all’elettrone, ma più pesante, con più massa. Assieme all’elettrone e alla particella tau (e ai loro rispettivi neutrini), il muone fa parte della famiglia dei leptoni. Si tratta di un progetto simile all’Lhc (Large hadron collider) del Cern di Ginevra, il quale ha portato nel 2012 alla conferma empirica dell’esistenza del bosone teorizzato dal Peter Higgs negli anni ’60, e alla consegna a quest’utlimo, nel 2013, del premio Nobel per la fisica. Ne ha parlato Carlo Rubbia, premio Nobel per la fisica nel 1984, al Muon collider workshop a Padova. (foto: Tommaso Rocchi). Ha scritto un testo Francesco Suman sul giornale we Bo Live dell’ateneo. Un altro premio Nobel per la fisica era stato assegnato nel 1984 per la scoperta dei bosoni vettoriali W+, W− e Z, particelle rivelate grazie all’acceleratore Sps (Super proton synchrotron), sempre situato al Cern, con il quale venivano fatti collidere protoni e antiprotoni. Quel premio Nobel andò all’olandese Simon van der Meer e a un italiano, Carlo Rubbia, nei giorni scorsi a Padova per il Muon collider workshop, un evento che si colloca all’interno del progetto europeo Aries (Acceleration research and innovation for European science and society) che vede coinvolti ricercatori della sezione di Padova dell’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn) e del dipartimento di fisica e astronomia dell’università. Il progetto, ancora nelle sue fasi preliminari (sono molte le sfide tecnologiche da affrontare), è quello di produrre muoni in gran quantità e farli collidere come è stato fatto con Lhc, il quale però lavorava con protoni (o adroni): “Gli adroni non sono delle particelle semplici, sono estremamente complesse. All’interno dei protoni trovate tutta una storia della natura: sono fatti da quark, da gluoni, da tantissime cose”. Gli elettroni poi sono particelle molto leggere e a energie molto elevate emettono radiazioni: “per costruire una macchina ad elettroni quindi devi costruire una macchina molto grande”. I muoni, invece, essendo più pesanti hanno il vantaggio di essere più stabili: “I mu sono una grande speranza, si tratta ora di impostare un programma scientifico sperimentale che abbia come sua pietra miliare non il protone perché è troppo complesso, non l’elettrone perché irraggia, ma il mu”. “Non è l’uomo, è la natura che decide come stanno le cose. Noi non sappiamo se le nostre idee siano del tutto esatte”, parole di Rubbia. Il muon collider potrebbe diventare uno strumento di eccezionale efficacia per esaminare più da vicino le proprietà del bosone di Higgs e per produrre fasci molto intensi di neutrini. Carlo Rubbia è infatti anche coinvolto nel più importante progetto al mondo per lo studio dei neutrini, Sbn (Short Baseline Neutrino), che sarà realizzato al Fermilab di Chicago. È stato sottoscritto il 28 giugno, a Washington, DC, un accordo di collaborazione tra il dipartimento dell’energia degli Stati Uniti e l’ambasciata italiana, per conto del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (Miur). L’obiettivo di questo progetto è andare alla ricerca del neutrino sterile: “sono delle particelle addizionali che potrebbero essere in giro” ha spiegato Carlo Rubbia. “Non è l’uomo, è la natura che decide come stanno le cose. Noi non sappiamo se le nostre idee siano del tutto esatte. Ora il problema è quello di creare un impianto sperimentale per cui la risposta sia obiettiva, che venga dalla concreta osservazione dei risultati sperimentali, invece di essere un’ipotesi di lavoro. Sono cose entrambe necessarie, ma è chiaro che la fisica sia un’arte sperimentale: il teorico suggerisce tante cose, però non è lui che decide, è la natura che decide e la natura è in mano ai fisici sperimentali”. Il neutrino sterile è una particella che se scoperta potrebbe aprire le porte alla cosiddetta “nuova fisica” oltre il modello standard delle particelle elementari, perché l’attuale teoria non ne prevede l’esistenza. Sbn sarà un’infrastruttura complessa che prevede l’impiego di un fascio artificiale di neutrini e l’attività integrata di tre rivelatori d’avanguardia. Uno di questi, basato sulla tecnologia ad argon liquido (Lar-Tpc), è Icarus e arriva dai laboratori Infn del Gran Sasso, dove ha operato, sotto la guida di Carlo Rubbia, dal 2010 al 2014, utilizzando un fascio di neutrini proveniente dal Cern. “Il grosso problema non sta tanto negli italiani, ma sta nel fatto che gli stranieri non vengono in Italia”, ha sostenuto Rubbia.” Carlo Rubbia ha quindi parlato della ricerca di base in Italia: “Noi abbiamo in Italia degli ottimi fisici. Dall’altra parte c’è il sistema, la comunità scientifica che crea la sua struttura, la sua burocrazia; e lì secondo me casca l’asino. Il grosso problema non sta tanto negli italiani, ma sta nel fatto che gli stranieri non vengono in Italia. Se per ogni italiano che va all’estero avessimo uno straniero che viene in Italia avremmo un equilibrio, ma questo equilibrio è ancora da fare, e si fa rendendo attrattive le attività del nostro Paese. Non dimentichiamo che siamo in una science driven society. La società nel suo insieme utilizza la scienza e la tecnologia che è una conseguenza della scienza come elemento primario di progresso”. Proprio per questa occasione, nell’intervista rilasciata a Il Bo Live, Carlo Rubbia ha anche ricordato Bruno Touschek, fisico austriaco, che collaborò anche con Carlo Bernardini, e che negli anni ’60 nei laboratori di Frascati ideò il primo collisore di leptoni mai creato, inaugurando quella che poi venne chiamata in tutto il mondo “la via italiana alle alte energie”. Quella macchina si chiamava Ada (Anello ad accumulazione) e utilizzava elettroni e positroni. Oggi, sottolineato di Rubbia, si sta progettando una macchina molto più complessa, ma quelle idee furono pionieristiche e restano ancora oggi preziose.

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