Il Nordest è terra rinomata per la produzione di prelibatezze gastronomiche, per quanto siano piatti semplici che si trovano spesso sulle nostre tavole, magari non considerando che hanno origini centenarie, che sono stati il cibo non solo dei nostri nonni ma anche dei nostri antenati. È il caso di un gioiello locale, il Carciofo Violetto di Sant’Erasmo, una delle isole di Venezia. “Articioco” ne è il termine dialettale, che dà conto della sua territorialità veneziana e anche dell’origine storica (dal neolatino “articactus”). Il carciofo è un prodotto orticolo tipicamente mediterraneo, mangiato comunemente al tempo degli Egizi. Nella nostra penisola è coltivato sin dal ‘400. Tra le varietà più note, oltre al violetto, il romanesco, lo spinoso sardo, il catanese e il pugliese. Le testimonianze storiche segnalano il carciofo a Venezia già nel 1500, introdotto nella cucina veneziana dalla comunità ebraica. La laguna veneziana ha costituito fin dalla Serenissima un ottimo ambiente per questo prodotto. Gli atti del catasto austriaco danno conferma dell’esistenza di questa coltura. L’isola di Sant’Erasmo, oltre a produrre buon vino e frutta squisita, è sempre stata considerata l’orto di Venezia nel quale si producono le verdure che arrivano ogni giorno ai mercati di Rialto e, soprattutto, le primizie che fanno di quel mercato uno dei più frequentati. Questa varietà ha caratteristiche peculiari dovute al terreno di coltivazione e presenta una colorazione violetta intensa. La produzione ha inizio i primi di aprile con le cosiddette “castraure” (il primo germoglio, particolarmente apprezzato in cucina, che viene tagliato per permettere la crescita più rigogliosa degli altri germogli) e termina a giugno con le ultime produzioni. La raccolta viene effettuata completamente a mano. Si coltiva anche nelle isole di Vignole, Mazzorbo e a Lio Piccolo in comune di Cavallino Treporti. Il Carciofo Violetto di Sant’Erasmo è un prodotto agricolo incluso tra i presidii di Slow Food e tra i prodotti agroalimentari tradizionali italiani. Si mangia crudo oppure fritto in pastella, alla grega, rosolato e servito freddo con limone, con le schie o le sardine, ed in altri modi. Un tempo negli orti della laguna lo concimavano con la spazzatura oppure con conchiglie e gusci dei granchi, che servivano per correggere l’acidità dei terreni. Per proteggere le piantine dal vento di bora si tiravano su le motte, cioè piccoli cumuli di terreno, dalla parte rivolta verso il mare. Recentemente i coltivatori del Presidio hanno iniziato anche una piccola produzione di carciofi sottolio che dovrebbe consentire di rendere più remunerativa una coltivazione che nel pieno del raccolto soffre dell’abbattimento dei prezzi di mercato. Ogni anni, il Consorzio Carciofo Violetto di Sant’Erasmo organizza una sagra in onore del carciofo isolano, dove è possibile degustare pietanze ovviamente a base di carciofo, bere vino locale e comprare ottimi prodotti naturali. Non mancano altri esempi di gustosi prodotti secolari. Il Montasio è un formaggio che nasce verso il 1200 grazie alla capacità dei monaci dell’Abbazia di Moggio Udinese. Pure il Morlacco, tipico del Massiccio del Grappa, ha una storia antica il cui metodo di produzione risale alla fine del ‘400 così come quello del friulano frico. Il prosciutto, poi, costituiva un alimento già in epoca protostorica fra l’XI e l’VIII secolo a.C.; la lavorazione della carne di maiale appartiene alla cultura di tutta l’Italia settentrionale. La storia del prosciutto di San Daniele ha radici lontane e documenti del passato fanno sapere che durante il Concilio di Trento si consumarono “trenta paia di parsutti” dodici dei quali donati dal Patriarca di Aquileia. Il prosciutto friulano ha un sapore unico che deriva, in quello di Sauris, dalla particolare affumicatura. Anche il prosciutto veneto ha fatto strada nei secoli: quello berico-euganeo è citato in un ricettario del ‘600 e a Montagnana anche quest’anno lo si festeggia fino al 27 maggio. Volgendo lo sguardo ad altre specialità, ecco un piatto tipico della cucina veneta ed in particolare veneziana, vicentina e veronese: “risi e bisi”, a base di riso e piselli. Appartiene all’antica tradizione culinaria della Serenissima Repubblica di Venezia e veniva offerto al Doge nella sala dedicata ai banchetti di Palazzo Ducale in occasione dei festeggiamenti in onore di San Marco. E poi l’asparago, quello verde di Pernumia, quello bianco di Bassano, Cimadolmo e Badoere, coltivato anche nelle zone collinari della provincia di Udine. La sua produzione sembra aver avuto origini in Mesopotamia e in seguito nell’antico Egitto, per arrivare presso i romani nel ‘500. Le particolari tecniche di coltivazione, frutto di una lunga tradizione, rendono questo ortaggio una vera prelibatezza. Maggio è il periodo delle fragole e soprattutto delle ciliegie. E mentre le fragole vengono coltivate da “soli” trecento anni, le ciliegie si diffusero in Egitto sin dal VII secolo avanti Cristo e, successivamente, in Grecia. Le prime testimonianze della loro presenza in Italia risalgono al II secolo avanti Cristo. Oltre che in Europa, il ciliegio è ampiamente coltivato in Asia, Australia, America. Con un raccolto annuo pari a circa 150.000 quintali, l’Italia rappresenta uno dei principali produttori di ciliegie a livello europeo. Rinomate sono quelle di Marostica nel vicentino, ma anche quelle del veronese. In Val d’Illasi è uno spettacolo vedere in primavera le colline piene di alberi in fiore e assaporare poi i buoni frutti, rossi e carnosi. (ODM)