Fiammetta Borsellino, figlia del giudice ucciso, è stata alla chiusura della mostra, allestita a palazzo Ferro Fini, sede dell’assemblea regionale del Veneto, sull’eredità di Falcone e Borsellino, cerimonia cui hanno preso parte autorità civili, militari, politici e amministratori pubblici, sindaci. Nel suo intervento, Fiammetta Borsellino ha prima di tutto ricordato il padre, che è stato un uomo meraviglioso, ed ha poi detto che “la mafia e la politica rappresentano due poteri che agiscono per il controllo dello stesso territorio e, pertanto, o si fanno la guerra oppure scendono a compromessi. I libri, non le pistole servono per combattere la mafia, non dobbiamo ricorrere alle conoscenze giuste ma possedere la giusta conoscenza che solo la scuola ci può dare. Siamo invitati a fornire esempi concreti e a porre in essere azioni visibili per realizzare e onorare gli ideali perseguiti da mio padre, promuovendo la legalità, i principi di buona amministrazione e di non complicità con le organizzazioni malavitose” Poi ha proseguito: “dobbiamo liberarci delle catene dell’omertà perché lo Stato non è un nemico da evitare. I mafiosi si nascondono non solo nelle organizzazioni criminali ma anche nelle Istituzioni democratiche, e mi riferisco ai numerosi collusi. La morte di mio padre ha innescato indubbiamente un processo di rivoluzione culturale e morale, soprattutto nelle giovani generazioni, che Paolo Borsellino ha sempre sostenuto essere l’unico mezzo per contrastare il diffondersi della cultura mafiosa, ma non dobbiamo abbandonarci a reazioni solo istintive ed emotive, ma assumere un atteggiamento critico per non abbassare mai la guardia su determinate tematiche come la lotta alla criminalità organizzata”. “Mio padre – ha aggiunto Fiammetta Borsellino – ci ha lasciato una eredità importante: l’amore, il rispetto e il senso delle istituzioni e proprio sotto questo aspetto la mia famiglia si sente tradita dallo Stato per avervi riposto fiducia e speranze senza tuttavia ricevere in cambio la verità, dopo più di venticinque anni da quel barbaro eccidio di via D’Amelio. La verità, anzi, è stata disattesa perché le vicende processuali sono state compromesse da troppi depistaggi che hanno impedito di fare completa luce sui fatti, per colpa della disonestà di chi questa verità era chiamato a ricercarla. In tutti questi anni abbiamo ascoltato troppe frasi retoriche e assistito a pompose celebrazioni, ma soprattutto a innumerevoli depistaggi e gravi anomalie nel corso delle indagini. Mi riferisco ai processi Borsellino 1 e Borsellino bis, celebrati tra il 1994 e il 1997, in anni cruciali che nella maggior parte dei casi risultano essere decisivi per il buon esito di qualsiasi indagine di polizia. E il ‘Borsellino Quater’, che si è concluso lo scorso mese di aprile, anche se le motivazioni non sono ancora state depositate, ha visto troppi ‘non ricordo’, troppi silenzi, troppe risposte evasive per celare l’emergere di verità inquietanti, con ben nove sentenze di assoluzione ad altrettante condanne all’ergastolo di persone in realtà innocenti che hanno scontato 17 anni di ingiusta detenzione perché si è dato credito a falsi pentiti, costruiti artificiosamente tra lusinghe e calunnie. Il falso pentito Vincenzo Scarano è stato spinto al reato di calunnia, manovrato sapientemente da coloro che erano chiamati a gestirlo, ovvero poliziotti e magistrati. Mi auguro che le motivazioni ora potranno chiarire finalmente ruoli e responsabilità di ciascuno dei soggetti coinvolti”. Infine ha dichiarato: “voglio chiudere con un raggio di speranza – ha concluso Fiammetta Borsellino – ovvero con una frase tratta da ‘Castelli di rabbia’ di Alessandro Baricco: ‘Accadono cose che sono come domande. Passa un minuto, oppure anni, e poi la vita risponde…’”. In apertura di cerimonia è intervenuto il presidente del consiglio regionale Roberto Ciambetti: “sono convinto che il vero modo che abbiamo per assolvere al nostro ruolo e onorare quanti sono morti nell’assolvimento del loro dovere difendendo la Repubblica e i suoi valori nella difficile lotta alla mafia e alle organizzazioni criminali di stampo mafioso, è fare nostro l’appello lanciato sabato scorso dal Procuratore nazionale antimafia che da Reggio Calabria testualmente: ‘Nei confronti della criminalità organizzata la politica deve assumere il medesimo atteggiamento scelto dalla Chiesa, con la scomunica dei mafiosi. Dire cioè, a chiare lettere, a chi si avvicina per offrire voti e protezione: Voi siete esclusi dalle nostre scelte’. In altre parole, dobbiamo dire no alla mafia e attivare gli anticorpi democratici, rifiutando i suoi voti nelle prossime elezioni e diffondendo, soprattutto tra i più giovani, quella cultura della legalità che è il primo argine con cui una società sana risponde alla criminalità organizzata”. “Il Veneto – ha proseguito – non è di certo immune dalle infiltrazioni mafiose, a maggior ragione oggi in prossimità delle scadenze elettorali: ce lo spiegò proprio Paolo Borsellino, la mattina del 19 luglio 1992 a poche ore dall’attentato che gli sarebbe costato la vita. In quella mattina, Paolo Borsellino scrisse una lettera di risposta agli studenti del Liceo Alvise Cornaro di Padova. Da quella lettera, un vero e proprio testamento morale ed etico, cito un passaggio chiave, su cui noi tutti dobbiamo riflettere. Scriveva Borsellino ai giovani padovani: ‘Il conflitto inevitabile con lo Stato, con cui Cosa Nostra è in sostanziale concorrenza (hanno lo stesso territorio e si attribuiscono le stesse funzioni) è risolto condizionando lo Stato dall’interno, cioè con le infiltrazioni negli organi pubblici’. Parole, queste, di una attualità straordinaria che vanno lette e rilette, meditate aggiungendovi la nota riflessione di Giovanni Falcone per il quale: ‘la mafia non è affatto invincibile. È un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio, e avrà anche una fine. Non ci sono dubbi sulla scelta di campo – ha concluso Ciambetti – la mafia uccide, uccide la democrazia, l’economia, inquina e ammorba la società, lacera i rapporti sociali. Ma anche il silenzio, il non voler vedere, il far finta di nulla, uccidono: l’indifferenza uccide. E’ la ‘banalità del male’. Fiammetta Borsellino è una di quelle voci che rompono il silenzio, lo fa in nome del padre, lo fa in nome di Giovanni Falcone, lo fa in nome della democrazia: la mafia ha paura delle voci libere, ha paura di quella cultura che è la prima arma con cui si può affrancare e difendere il debole. Possa il Consiglio regionale del Veneto essere megafono della battaglia di libertà, democrazia e giustizia che uomini come Paolo Borsellino e Giovanni Falcone ci lasciarono in eredità. Nella lotta alla mafia dobbiamo far emergere la verità, non nasconderla sotto il tappeto dell’ipocrisia, altrimenti facciamo del male allo Stato e a noi stessi”. Altri inteventi, infine, di esponenti della magistratura, delle forze dell’ordine, dell’Anci e dell’Osservatorio per il contrasto alla criminalità organizzata e mafiosa e la promozione della trasparenza.