Le norme di riforma su diffamazione e intercettazioni, all’esame della Camera in terza lettura sono ancora «una legge bavaglio», nonostante le poche modifiche migliorative apportate durante l’iter parlamentare. E’ questo il parere concorde del presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti, Enzo Iacopino, e del segretario nazionale della Federazione nazionale stampa italiana, Raffaele Lorusso, espresso nell’incontro svoltosi nella sede dell’Ordine e del Sindacato giornalisti del Veneto, promosso anche dall’Associazione Articolo 21, coordinato dal presidente dell’Ordine Gianluca Amadori e dal segretario del Sindacato Massimo Zennaro. Caterina Malavenda (nella foto), avvocata esperta di diritto dell’informazione, ha lanciato l’allarme: nel campo della diffamazione, le modifiche sulle sanzioni, sulla rettifica, sul mancato risarcimento in caso di querele temerarie – sempre più utilizzate per intimidire i giornalisti – hanno portato più conseguenze negative che positive per i giornalisti, ha sostenuto, rilevando che in Parlamento c’è disinteresse per la materia e ostilità verso la categoria. Malavenda ha quindi sostenuto che l’introduzione nel disegno di legge di una norma che non c’entra con la materia, quella della cancellazione di notizie su siti Internet su semplice richiesta dell’interessato, spacciata come diritto all’oblio, in realtà tende a cancellare dalla conoscenza della pubblica opinione tutto ciò che è scomodo, per proporre un mondo tutto rosa. Quanto alle norme sulla pubblicazione di intercettazioni, ha individuato la diversità di interessi tra magistrato inquirente e giornalista, rivendicando a quest’ultimo la decisione su quali notizie siano di pubblico interesse. Marina Castellaneta, docente universitaria ed esperta in diritto internazionale, ha ricordato i principi della Carta europea dei diritti dell’uomo e le numerose sentenze della Corte europea di giustizia, per cui l’Italia ha dovuto pagare lo scorso anno 31 milioni di euro di multa (e 71 l’anno precedente). In materia di libertà di stampa, la Commissione di Venezia ha messo sotto osservazione due Paesi, l’Azerbaigian e l’Italia, mentre il rappresentante dell’Onu ha definito allarmante la situazione. Anche con la riforma in discussione al Parlamento, molte norme della legislazione italiana continuano a essere in contrasto con la Carta europea, che pur è vincolante sulla legislazione nazionale, che è molto precisa nella tutela della attività del giornalista e della libertà di stampa. Rosanna Filippin, senatrice e relatore sulla legge di riforma approvata in seconda lettura a palazzo Madama, ha ammesso che la legge non è la migliore del mondo, ma ha rilevato che sia pur con grande difficoltà si è riusciti per la prima volta a normare il risarcimento del danno subito dal giornalista nel caso di querele temerarie; ha difeso la norma sulle rettifiche, affermando che la rigidità prevista (non è consentita alcuna replica da parte del giornalista, anche se la rettifica non è veritiera) – contro la quale la relatrice si è mossa invano in Senato – è stata ed è necessaria per fare in modo che la rettifica stessa diventi requisito di non punibilità per il giornalista querelato per diffamazione. Al Senato, inoltre, la Filippin ha evidenziato come sia stato eliminato il limite minimo di sanzione pecuniaria, per consentire al giudice di infliggere anche pene inferiori a 5 mila euro per il giornalista condannato. Infine, pur concordando con alcune modifiche proposte dall’Ordine, ha ricordato che bisogna equilibrare la tutela della libertà d’informazione con la tutela del cittadino dal pericolo di diffamazione; quanto all’adeguamento delle norme italiane alle disposizioni europee, ha parlato di una battaglia continua. Il presidente nazionale dell’Ordine, Iacopino, ha ribadito che quella in discussione alla Camera rimane una legge bavaglio e, con le norme assurde sulle intercettazioni, rischia di diventare una legge bavaglione. Dopo aver affermato con forza che l’Ordine non tutela i diffamatori seriali e che se i giornalisti possono sbagliare magari per vanità o per ansia di scoop, è anche vero che nel Parlamento e nella società la categoria ha molti nemici, Iacopino ha contestato le norme sulle sanzioni pecuniarie, che non tengono conto della potenzialità economica del condannato, sul pesante squilibrio tra le richieste di danni con liti temerarie e la sanzione a carico del richiedente temerario (molti sono degli intimidatori seriali), sulle rettifiche senza limiti che rischiano di trasformare i giornali in buche delle lettere, sull’obbligo di cancellazione delle notizie dai siti internet. Quanto alle intercettazioni, ha detto che i custodi del segreto delle indagini sono i magistrati e la polizia giudiziaria, non i giornalisti che hanno l’obbligo di rendere noto quanto ritengano di pubblico interesse. Il segretario della Fnsi, Lorusso, dopo aver premesso che anche i giornalisti debbono fare autocritica, ha sostenuto che l’abolizione della pena del carcere è servita come paravento per un regolamento di conti contro i giornalisti: per rimediare a inadempienze e criticità del sistema normativo in materia, si è colta l’occasione per sostituire il carcere con una serie di lacci e lacciuoli intollerabili. Dopo aver denunciato l’uso di querele temerarie da parte di politici e di delinquenti abituali, ossia a scopo meramente intimidatorio, ha sostenuto che la sanzione per il querelante temerario deve essere commisurata alla somma spropositata chiesta al querelato. Anch’egli ha rilevato che il segreto istruttorio deve essere tutelato dai suoi custodi e ha rilevato che nel mondo della informazione è facilissimo pubblicare notizie su un sito Internet estero. Di qui, in un mondo che sta cambiando, l’appello generale al buon senso: ai giornalisti per il rispetto delle norme basilari della legge dell’Ordine, al Parlamento per un bagno nella realtà, perché un edificio costruito sulla sabbia crolla presto.