Sul referendum in Catalogna, ha fatto il punto Patrizio Rigobon, docente e studioso di lingua e letteratura catalana all’Università Ca’ Foscari al quale è stato chiesto, tramite magazine di Cà Foscari, di fare il punto sulla situazione attuale e di soffermarsi sul desiderio indipendentista di Barcellona. Qual è la specificità del referendum catalano. Quali sono le motivazioni alla base della volontà di separazione? Il referendum catalano sull’autodeterminazione nasce, come volontà popolare estesa, nel 2010 anche se il Parlamento catalano già s’era espresso sull’autodeterminazione dei popoli e delle nazioni nel 1989. La volontà di separazione, ha aggiunto Rigobon, è divenuta consistente realtà politica con la rottura delle trattative sul patto fiscale tra il governo della Generalitat e quello dello Stato nel 2012, quando al partito tradizionalmente indipendentista (ERC Esquerra Republicana de Catalunya) si è sommato nella rivendicazione di un referendum sull’autodeterminazione il partito moderato di Artur Mas (allora Convergència i Unió, poi scissosi). Significativo che il cosiddetto “procés” (cioè tutti gli atti tesi al raggiungimento dell’indipendenza) interessi indistintamente partiti di sinistra e di centro destra. Prima del referendum di domenica si era votato in un altro referendum il 9 novembre del 2014 su tre domande che ruotavano attorno al problema dell’indipendenza. Anche questo referendum era ritenuto anticostituzionale, come quello di domenica. Per spiegare la piega indipendentista presa da buona parte della politica catalana va ricordata la sentenza della Corte Costituzionale spagnola del 2010 che tagliò significativamente alcune acquisizioni dello Statuto d’Autonomia del 2006 (già approvato dal parlamento spagnolo e da quello catalano e ratificato da un referendum popolare) generando un’ondata di proteste e multitudinarie manifestazioni. Il ricorso d’incostituzionalità era stato interposto dal Partido Popular, lo stesso del premier attuale Rajoy. Certamente uno dei massimi responsabili di questa situazione. Storicamente in Spagna si sono già raggiunti picchi di tensione indipendentista di questo tipo? La repubblica catalana indipendente (entro una repubblica federale spagnola) era stata proclamata tra l’altro nel 1934, prima della guerra civile spagnola, e gli allora responsabili politici furono incarcerati. La tensione odierna è molto alta per una serie di errori dell’attuale capo dell’esecutivo spagnolo Rajoy. Questo non significa naturalmente, ha sottolineato il docente, che alcuni errori non siano stati commessi anche da parte delle autorità catalane che però, nei momenti di dialogo, hanno sempre trovato davanti un muro di “no” opposto dal governo centrale. Qual è la posizione del mondo accademico in Spagna? Il mondo accademico in Spagna è diviso, ma prevalentemente schierato col governo di Madrid. Sono stati in questo senso firmati dei manifesti da parte di molti docenti universitari che esortavano il governo a applicare la legge con fermezza per fermare il “procés” e il referendum incostituzionale. Altri docenti, in Spagna – ma soprattutto in ambito catalano – e nel mondo, hanno firmato manifesti per il dialogo. La Spagna resterà unita? Quali sono, a suo parere, le strade ora politicamente percorribili? Difficile dire. Il contesto delle istituzioni internazionali tende a ritenere la questione catalana un affare interno della Spagna che non fa altro che applicare la propria Costituzione, democraticamente votata nel 1978. Tutt’ al più le predette istituzioni si limitano a condannare le violenze della polizia dello stato centrale. Da più parti in Europa però si levano voci favorevoli ad una mediazione internazionale che scongiuri un escalation potenzialmente molto pericolosa, ha concluso il docente cafoscarino.