Dopo Galileo nulla fu come prima. E non solo nella ricerca astronomica e nelle scienze, ma anche nell’arte. Con lui, il cielo passa dagli astrologi agli astronomi. La mostra (Padova, Palazzo del Monte di Pietà, dal 18 novembre al 18 marzo 2018), concepita da Giovanni C.F. Villa per la Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo racconta – per la prima volta- la figura complessiva e il ruolo di uno dei massimi protagonisti del mito italiano ed europeo. In un’esposizione dai caratteri del tutto originali, dove capolavori assoluti dell’arte occidentale in dialogo con testimonianze e reperti diversi, consentono di scoprire un personaggio da tutti sentito nominare ma da pochi realmente conosciuto. Dalla mostra emerge l’uomo Galileo nelle molteplici sfaccettature: dallo scienziato padre del metodo sperimentale al letterato esaltato da Foscolo e Leopardi, Pirandello e Ungaretti, De Sanctis e Calvino. Dal Galileo virtuoso musicista ed esecutore al Galileo artista, tratteggiato da Erwin Panofsky quale uno dei maggiori critici d’arte del Seicento; dal Galileo imprenditore – non solo il cannocchiale ma anche il microscopio o il compasso – al Galileo della quotidianità. Poiché l’uomo, eccezionale per potenza d’intuizione e genio scientifico, lo era anche nei piccoli vizi e debolezze, quali gli studi di viticoltura e la passione per il vino dei Colli Euganei – rifiutando la “vil moneta” baratta i suoi strumenti di precisione con vino “del migliore” – o la produzione e vendita di pillole medicinali. Per documentare “Rivoluzione Galileo” Giovanni C.F. Villa riunisce in Palazzo del Monte di Pietà a Padova un numero impressionante di opere d’arte, a partire dagli splendidi acquerelli e schizzi dello stesso Galileo, che mostrano la sua altissima qualità di disegnatore. Lo scienziato era del resto un attento osservatore dell’arte, come confermano i commenti salaci su delle tarsie lignee – “prive di morbidezza e fatte di legnetti” – ma anche su Arcimboldo, autore di “capricci che hanno una confusa ed inordinata mescolanza di linee e colori”. L’influenza delle conquiste galileiane e della scienza moderna sulla cultura artistica è evidente già nel primo Seicento: con la minuziosa resa della natura, come testimoniano le straordinarie opere dei Brueghel e di Govaerts, ma anche in una pittura che recepisce immediatamente la prorompente portata delle ‘macchine’ di Galileo. Nel 1610 Galileo pubblica il Sidereus Nuncius, e un effetto immediato si può scorgere nella celebre Fuga in Egitto di Adam Elsheimer, prima raffigurazione della Via Lattea. E poi in una sequenza di artisti capaci di raffigurare la luna così come vista con il cannocchiale, tanto che una notevole sezione di mostra racconta proprio la scoperta della luna da Galileo fino ai giorni nostri. Anche il genere della natura morta sviluppa nuove formule compositive: i simboli della vanitas lasciano il posto ad una raffigurazione documentaristica legata allo sviluppo delle scienze naturali. E poi un racconto iconografico per capolavori, tra le quali spicca il dipinto del Guercino dedicato al mito di Endimione, con una delle prime raffigurazioni del cannocchiale perfezionato dallo scienziato pisano. Tra gli anni Venti e Trenta del secolo prende vita una vera e propria “bottega” galileiana, ovvero una generazione di artisti (Artemisia Gentileschi, l’Empoli, Stefano Della Bella, ecc.) in grado di condividere le suggestioni offerte dalla lezione dello scienziato. Come le Osservazioni astronomiche di Donato Creti ora in Pinacoteca Vaticana: straordinarie tele raffiguranti stelle e pianeti ritratti in modo da mostrare l’aspetto che presentano al telescopio, evocando le scoperte galileiane. Giovanni C.F. Villa porta i visitatori anche dentro alla “costruzione” del mito galileiano in epoca ottocentesca. Si era nel 1841 quando il Granduca Leopoldo II di Lorena costruiva, in Palazzo Torrigiani, la Tribuna di Galileo, straordinario ambiente immaginato quale sintesi iconografica della scienza sperimentale, da Leonardo a Galileo. Dopo il centrale episodio fiorentino di Santa Croce, eternato da Ugo Foscolo, l’Ottocento diviene il secolo dei monumenti dedicati a Galileo. Ecco allora Pisa, Roma, la Loggia degli Uffizi a Firenze per giungere alla trentaseiesima statua dei grandi padovani in Prato della Valle. A sancire il mito di Galileo accanto a quello di Dante, lo scienziato-umanista capace di una rivoluzione epocale per l’umanità ampiamente riverberata nell’arte.
La mostra sviluppa un’ampia sezione d’arte contemporanea che da Previati e Balla giunge fino ad Anish Kapoor, presente in mostra con l’opera di apertura. Così sette secoli di arte occidentale, intrecciandosi con la scienza, la tecnologia e l’agiografia galileiana, restituiscono compiutamente la parabola umana di Galileo celebrato in una Padova che lo vide protagonista per 18 anni. Ricordati dallo scienziato come i più felici per la libertà concessagli dallo Studio patavino, allora ai vertici della cultura europea. Ed è la stessa Università agli Studi di Padova che, come ha annunciato il Rettore, prof. Rosario Rizzuto, ha deciso di affiancare alla Mostra un programma di iniziative, incontri, approfondimenti sulla figura di colui che è stato uno dei suoi più illustri docenti e Maestri. Info: www.fondazionecariparo.it, Ufficio Stampa: Studio Esseci, 049 663499; gestione3@studioesseci.net. Fin qui la nota degli organizzatori. Ma la direzione di Veniceonair ha ritenuto proporre, in aggiunta, il testo di Mattia Sopelsa, ospitato dal giornale il Bo dell’ateneo padovano. Sopelsa ha scritto che l’esposizione vuol essere “un viaggio in compagnia di Galileo con 150 opere in grado di creare un cammino ideale dagli anni immediatamente precedenti allo scienziato fino ad arrivare all’epoca contemporanea, sancendo quello che fu Galileo: una traghettatore di un passaggio epico e millenario dal transito del cielo pensato dagli astrologi a quello invece studiato dagli astronomi. Si tratta di una narrazione visiva: i visitatori saranno accompagnati attraverso celebri rappresentazioni cartografiche del Cinquecento – su tutte la Mappa celeste boreale e la Mappa celeste australe di Albrecht Dürer – e le tele con le raffigurazioni dei Quattro elementi di Abraham Govaerts e dei Bruegel, la Via Lattea di Rubens del Prado e quella di Tintoretto ad introdurre la luna raccontata da Van der Neer nel dipinto al Kunsthistorisches Museum di Vienna arrivando all’opera capace di visualizzare mirabilmente l’“ammasso di innumerevoli stelle”, nelle parole di Galilei: il capolavoro di Adam Elsheimer raffigurante una notte di plenilunio con il cielo solcato dalla Via Lattea, prima eco pittorica del Sidereus Nuncius. Galileo fu il primo, nel 1609, ad osservare la Luna con quel cannocchiale descritto al doge di Venezia quale efficacissimo strumento di guerra. E con quelle osservazioni parlò del nostro satellite descrivendone “le catene di monti e di profonde valli”. L’inizio di quello che poi è diventata l’osservazione e la scoperta dell’Universo, grazie all’uso di lenti sempre più straordinarie. E proprio il cuore della mostra è la scoperta della Luna e del cielo stellato sopra di noi. Il Galileo scienziato sarà mostrato anche nella sua veste di artista con quegli acquarelli (le Sei fasi lunari del 1609) capaci, grazie a una maestria fuori dal comune, di suggerire, attraverso un gioco di luci ed ombre, la struttura fisica della Luna. Da qui si dipana un altro percorso, che porterà il visitatore attraverso le parole di Italo Calvino fino alle immagini moderne della Nasa, in un parallelo che permetterà di comprendere quanto le osservazioni di Galileo fossero accurate e corrette. In esposizione anche reperti di cannocchiali, come quello in legno e cartone di Fontana e Campani, a dialogare (anche con l’ausilio di installazioni di video-mapping) con le osservazioni compiute, arrivando poi a Jules Verne, al Barone di Munchausen illustrato da Gustave Doré e alla contemporaneità di artisti quali Paolini, Pagler, Ernst, Taut, ma anche Hergé con il suo Tintin e le immagini dei film di Georges Méliès e Martin Scorsese. Si tratta di un racconto fortemente “interattivo ed emozionale”, nelle parole del curatore Giovanni Carlo Federico Villa, che lascerà stupito il visitatore nel riconoscere quanto genio avesse lo scienziato, anche oltre agli ambiti che gli sono comunemente attribuiti. E in un tragitto di questo tipo, la collaborazione con l’università di Padova non poteva che essere forte, visto il legame tra l’ateneo, la sua storia e la figura di Galileo. Era infatti il 7 dicembre 1592 quando il Maestro tenne la sua prima lezione inaugurale. A Palazzo Bo, all’ingresso dell’Aula magna, viene custodita la Cattedra da cui Galileo teneva lezione. Negli archivi ci sono documenti risalenti agli anni del suo insegnamento che porteranno, come ha spiegato il rettore Rosario Rizzuto, “alla pubblicazione di un nuovo approfondimento sugli anni galileiani a Padova” da cui emergeranno anche aspetti non consueti della personalità e dell’esperienza padovana dello scienziato. Infine, verrà realizzato un itinerario che raggiunga i luoghi della città caratterizzati dalla memoria viva di Galileo: dal Palazzo del Bo, alla Specola, passando per il museo della Medicina e quello di Fisica”. (nella foto del Bo, Galileo davanti all’Inquisizione).