Di Sant’Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù vissuto tra la fine del Quattrocento e la prima metà del Cinquecento, non rimangono opere autografe complete. L’unico manoscritto superstite vergato di suo pugno è il Diario Spirituale che ha tuttavia subito pesanti rimozioni e di cui restano pochi fascicoli. Fino a qualche tempo fa le sue condizioni non erano buone: il manoscritto si presentava gravemente danneggiato. Il rischio era che il tempo compromettesse una testimonianza storica di tanto valore. Questo ha fatto sì che la Curia gesuitica, in accordo con l’Archivum Romanum Societatis Iesu dove il testo è custodito, decidesse un lavoro di restauro finanziato dalla Fondazione spagnola Gondra Barandiaran di Biscaglia. A essere chiamati per l’importante incarico sono gli stessi scienziati che, nel 2016, si sono occupati del restauro di un altro manoscritto chiosato da Ignazio di Loyola, gli Esercizi Spirituali. Loro sono Alfonso Zoleo con alcuni colleghi del dipartimento di Scienze chimiche dell’università di Padova, Carlo Federici, che da oltre 40 anni è impegnato nel campo della conservazione e del restauro dei beni librari e archivistici, e Melania Zanetti, presidente dell’Associazione italiana dei conservatori e restauratori degli archivi e delle biblioteche. Un gruppo che ormai da 15 anni conduce ricerche congiunte su manoscritti e materiali d’archivio di interesse storico e culturale. Su questo tema ha scritto un testo sul giornale Il Bo dell’ateneo Monica Panetto. Il manoscritto si compone di due parti. La prima è scritta da Ignazio di Loyola tra il febbraio 1544 e il febbraio 1545 ed è formata da due fascicoli, rispettivamente di 14 e 12 carte. Nella seconda parte invece, databile alla metà del Seicento, è contenuta la traduzione italiana del testo autografo ignaziano, anche questa articolata in due fascicoli di 27 carte complessive. Il testo, raccontano gli studiosi, è impreziosito da una legatura applicata agli inizi del XVIII secolo e formata da una coperta in tessuto di seta broccato e ricamato con fili d’argento e controguardie in carta dipinta, dorata e goffrata. Il lavoro inizia a fine 2016 nei laboratori universitari dove i chimici padovani – in questo caso Alfonso Zoleo con Renzo Bertoncello e Moreno Meneghetti – esaminano lo stato in cui versa lo scritto. Il gruppo dei chimici dell’università di Padova analizza – attraverso fluorescenza dei raggi X (XRF) e riflettanza UV-visibile (FORS) – le zone inchiostrate, gli aloni prodotti dalla diffusione degli inchiostri e anche le aree bianche per indirizzare opportunamente i trattamenti di restauro. Dopo aver valutato lo “stato di salute” del manoscritto, si inizia il restauro nello studio di Melania Zanetti a Padova intervenendo con metodi avanzati di trattamento e deacidificazione. Si decide di applicare – per indugiare in qualche dettaglio tecnico – un idrogel a base di polivinilpirrolidone per distaccare il velo di seta utilizzato in un precedente intervento novecentesco per evitare la caduta di frammenti del manoscritto. L’acidità degli inchiostri viene invece neutralizzata utilizzando una sospensione in alcol etilico di nanoparticelle di idrossido di calcio. Nel corso dei lavori il gruppo dei chimici ripete più volte le analisi sul manoscritto, così da monitorare i singoli momenti del restauro e verificarne l’efficacia, mantenendo sotto controllo al tempo stesso il livello di invasività degli interventi sul testo. Dopo alcuni mesi, nell’aprile 2017, il restauro viene concluso e il manoscritto riconsegnato ai committenti. Anche in questo caso, come in altri interventi simili, il sodalizio tra scienze chimiche, nanotecnologie e conservazione dei beni culturali, che assume sempre maggiore importanza, permette di tutelare e tramandare alle generazioni future tanta parte del patrimonio su cui si fonda la nostra identità culturale.