La Scala Contarini del Bovolo di Venezia (foto) è parte integrante di una mostra (dal 9 maggio al 15 ottobre) che è incentrata sulla rilettura dell’opera di Duchamp che si svolge lungo una scala, ed è proprio una scala che ha reso celebre nel mondo (sin dalla partecipazione all’Armory Show nel 1913) Marcel Duchamp col suo “Nudo che scende una scala”. Il “nudo” (“nu” in francese) diventa “noi” (“nous” in francese), il visitatore che sale e scende la Scala del Bovolo diventa protagonista di questa mostra, non solo semplice spettatore ma attore. Il “salire” e lo “scendere” sono perciò azioni centrali nella ideazione e costruzione dell’esposizione site specific che propone una serie di opere realizzate nell’arco di quarant’anni in cui Pablo Echaurren dialoga con l’ombra del padre dell’arte concettuale Marcel Duchamp. Il percorso della mostra si sviluppa lungo lo spazio fisico della Scala, che nella sua forma a spirale (bovolo in dialetto veneziano sta per chiocciola) rimanda emblematicamente alla coppia di opposti alto/basso e ascesa/discesa. Traendo spunto dall’opera duchampiana Nu descendant un escalier, l’artista ha concepito una serie di cartelli segnaletici che invitano lo spettatore, con un gioco di parole onomatopeico, a salire le scale (Nous ascendants un escalier) e poi a discenderle (Nous descendants un escalier). Il fulcro della mostra è rappresentato da una serie di collage che entrano in rotta di collisione con i materiali cartacei della “boîte verte”, la scatola duchampiana intitolata La mariée mise à nu par ses célibataires, même (1934). Un’opera che rappresenta per Echaurren non solo un personale oggetto d’affezione ma anche uno stimolo e uno spunto di riflessione sul fare arte come prassi legata alla dimensione del pensiero. La scatola contiene la riproduzione di appunti, foto, disegni e fogli strappati relativi all’elaborazione del Grande Vetro. Una sorta di cassetta degli attrezzi ma anche un potenziale collage. Echaurren, che sin dal 1969 ha praticato la via del collage accanto alle altre discipline artistiche, ha utilizzato copie dei facsimile della “boîte” per realizzare cinquanta lavori in un’ideale partita a scacchi con il grande maestro. Al fine di rimarcarne l’importanza, un esemplare originale della scatola è materialmente presente nella mostra. A conclusione dell’itinerario, la scultura di ceramica U/siamo tutti Duchamp, una copia dello storico orinatoio firmato R. Mutt, sulla quale Echaurren è intervenuto applicandovi una sorta di tatuaggio realizzato con una tecnica desunta dal compendiario della grottesca faentina cinquecentesca, trasformando così l’oggetto in una suppellettile straniante attraverso un détournement in bilico tra medioevo, graffitismo, passato e presente, alto e basso. Catalogo Silvana Editoriale. Il fulcro della mostra è rappresentato da una serie di collage che entrano in rotta di collisione con i materiali cartacei della “boîte verte”, la scatola duchampiana intitolata La mariée mise à nu par ses célibataires, même (1934). Un’opera che rappresenta per Echaurren non solo un personale oggetto d’affezione ma anche uno stimolo e uno spunto di riflessione sul fare arte come prassi legata alla dimensione del pensiero. La scatola, com’è noto, contiene la riproduzione di appunti, foto, disegni e fogli strappati relativi all’elaborazione del Grande Vetro. Una sorta di cassetta degli attrezzi ma anche un potenziale collage. Echaurren, che sin dal 1969 ha praticato la via del collage accanto alle altre discipline artistiche, ha utilizzato copie dei facsimile della “boîte” per realizzare cinquanta lavori in un’ideale partita a scacchi con il grande maestro. Al fine di rimarcarne l’importanza, un esemplare originale della scatola è materialmente presente nella mostra. A conclusione dell’itinerario, la scultura di ceramica U/siamo tutti Duchamp, una copia dello storico orinatoio firmato R. Mutt, sulla quale Echaurren è intervenuto applicandovi una sorta di tatuaggio realizzato con una tecnica desunta dal compendiario della grottesca faentina cinquecentesca, trasformando così l’oggetto in una suppellettile straniante attraverso un détournement in bilico tra medioevo, graffitismo, passato e presente, alto e basso. Pablo Echaurren nasce a Roma nel 1951. Inizia a dipingere a diciotto anni e, tramite Gianfranco Baruchello, viene scoperto dal critico e gallerista Arturo Schwarz che fa conoscere il suo lavoro in Italia e all’estero. Tra il 1971 e il 1975 espone a Berlino, Basilea, Filadelfia, Zurigo, New York, Bruxelles e nel 1975 è invitato alla Biennale di Parigi. Il suo esordio avviene all’insegna di un minimalismo, di una concettualità e di un’antipittoricità alternativi all’idea di opera d’arte come feticcio. Questa è la direzione in cui l’artista si è mosso da allora, sempre alla ricerca di nuovi linguaggi e nuove forme di espressione. Non solo pittore, si è impegnato in un’intensa attività applicata, realizzando illustrazioni, manifesti e copertine, tra cui quella del best seller Porci con le ali , nonché “metafumetti” che indagano sul possibile rapporto tra avanguardia e arte popolare, cercando quel necessario e fecondo cortocircuito tra “alto” e “basso”, tra cultura e leggerezza, in sintonia con l’ideale di un’arte diffusa. La sua creatività si è sviluppata anche nel campo scrittura, con romanzi e pamphlet sul mondo dell’arte. Info: studio Esseci Padova