Della vita professionale del più conosciuto architetto degli ultimi cinque secoli, Andrea della Gondola detto Palladio, conosciamo e possiamo ammirare ancora molto, della sua vita privata al contrario, abbiamo ben poche notizie. Di lui si sa che nasce a Padova agli inizi del ‘500 mentre non abbiamo ancora certezze sulla sua morte. Scomparve all’improvviso nell’agosto del 1580, ma non sappiamo né dove né a causa di cosa e nemmeno dove sia sepolto il suo corpo. Sappiamo che non era benestante, nonostante a suo tempo si ritenesse il contrario, che non possedeva una casa di proprietà e che fece studiare uno dei suoi cinque figli grazie ad una borsa di studio. E, per ora, non si conosce nemmeno quale fosse il suo vero volto. Del suo corpo conosciamo con sicurezza la mano sinistra, che lui stesso immortalò in un disegno oggi conservato a Londra, non esiste invece un ritratto ’ufficiale’ cinquecentesco che ne definisca con evidenza i tratti del viso. Dopo cinque secoli di teorie e contese, saranno i risultati delle analisi che gli esperti del Servizio di polizia scientifica della polizia di Stato consegneranno il prossimo 12 aprile a dirci una volta per tutte come realmente era. Il primo tentativo di indagare la questione, spiega sul giornale il Bo dell’ateneo di Padova Francesca Forzan, lo ha fatto la mostra allestita al Palladium Museum di Vicenza Andrea Palladio. Il mistero del volto (fino al 18 giugno 2017), realizzata dal Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio, SABAP (Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza), in collaborazione con ROSIZO State Museum and Exhibition Center di Mosca. Tutto nasce da un’assenza. Nel Rinascimento infatti, secondo le consuetudini editoriali del tempo, chi realizzava un testo era solito inserirvi al suo interno il proprio ritratto. Ma ne I Quattro Libri dell’Architettura pubblicati dall’architetto veneto a Venezia nel 1570, della sua immagine non c’è nemmeno l’ombra. Dalle Vite di Giorgio Vasari sappiamo, tuttavia, che ne sono esistiti almeno due di cui, però, si erano perse le tracce: un primo ad opera del pittore veronese Orlando Flacco ed un secondo, attribuito a Tintoretto, che compare in un inventario del 1599. A cura di Giacomo Leoni, gli editori inglesi tra il 1715 e il 1720 pubblicarono la traduzione del famoso trattato di architettura, proponendo per il testo, un’immagine di Palladio vestito alla moda del Settecento; incisione che lo stesso Leoni dichiarò basata su un ritratto di Paolo Veronese, ma chiaramente inventata. Inizia da qui la complicata storia del volto del Palladio che la mostra, a cura di Guido Beltramini, indaga attraversando cinque lunghi secoli.
Una vera e propria indagine con tanto di prove, reperti e nuovi e indizi (radiografie dei quadri, sezioni stratigrafiche, antiche fotografie, documenti) che hanno permesso di rintracciare opere perdute ma anche di scoprirne e studiarne di nuove. Gli studi preparatori realizzati in occasione dell’esposizione, hanno infatti restituito il famoso ritratto di Flacco, che era arrivato nella collezione di un eccentrico architetto russo e a cui, nella mostra, è stato possibile accostare un dipinto ad olio del veronese Bernardino India, scovato da uno storico dell’arte americano in un antique shop nel New Jersey, in cui Palladio appare simile al ritratto di Flacco, fatta eccezione per il cappello con cui copre il capo. E sempre gli studi preparatori alla mostra hanno permesso di individuare ben dodici supposti ritratti dell’architetto veneto provenienti da varie parti del mondo: Londra (RIBA Collections e Royal Collection at Kensington Palace), Copenaghen (Statens Museum), Vicenza (villa Rotonda, villa Valmarana, teatro Olimpico, villa Caldogno), Notre Dame (Parigi), Indiana (Snite Museum of Art), Mosca, Praga (Národní Muzeum), New York e dalNew Jersey. Proprio su questi il Servizio di Polizia Scientifica della Polizia di Stato sta effettuando analisi di comparazione fisionomica per identificare tratti comuni e differenze e arrivare a svelare definitivamente il mistero del volto. E se tra qualche giorno potremmo finalmente sapere che faccia aveva Palladio, resta invece ancora da spiegare perché l’architetto veneto abbia deciso di non inserire il proprio ritratto all’interno de I Quattro Libri dell’Architettura scardinando le abitudini del tempo. Palladio è il primo a raccontare e spiegare poco di sé. Nella sua opera accenna appena alla sua vita e alla sua formazione, che sappiamo essere stata molto dura e faticosa fin dalla tenera età. “Palladio non parla di sé ne I Quattro Libri dell’architettura perché non vuole legarli ad un tempo o a un’occasione e, come non possono essere legati ad un tempo, così non possono nemmeno essere identificati in un volto – ha spiegato Beltramini –. Il sistema architettonico palladiano, trasmesso attraverso il suo trattato, è concepito per vincere il tempo. Vive nel futuro attraverso chi vorrà usarlo. Per questo, se vi chinate a guardare la pagina della Rotonda, vi vedete riflessi in uno specchio; per ricordarci che con con ‘I Quattro Libri’ in mano, noi siamo Palladio”. Nella foto: Villa Rotonda di Palladio.

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