Sono bastanti due dati per descrivere l’impatto macroeconomico del turismo in Italia: secondo i calcoli del CISET-Ca’ Foscari il turismo genera l’11,8% del PIL nazionale totale e agisce sull’occupazione per una percentuale del 12,8%. Numeri importanti. Non hanno forza tuttavia per evitare il profilarsi di alcune ombre su questo settore; nonostante il turismo sia rimasto immune alla crisi – anzi, è in crescita-, il confronto con gli altri Paesi smorza l’ottimismo e costringe a riflettere: siamo al settimo posto globale per ricavi e al quinto per arrivi (scivolati dietro Spagna e Cina). L’immenso patrimonio culturale e paesaggistico offerto dal nostro Paese non viene sfruttato appieno, le sue potenzialità rimangono il più delle volte inespresse, nascoste come i tanti borghi ancora oggi sconosciuti persino agli italiani stessi. L’esigenza di far fronte a queste lacune ha portato alla stesura del PST – piano strategico del turismo -, un piano elaborato dal Comitato permanente di promozione del turismo, con il coordinamento della Direzione generale turismo del ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo). Il direttore della sezione turismo del Mibact Francesco Palumbo ha esposto i punti fondamentali del piano, prestando attenzione al metodo di lavoro, attraverso cui “per la prima volta è stato chiesto agli esperti del turismo di elaborare materialmente e fisicamente il piano”, non solo di condividere idee. Il piano non è stato frutto, sulla carta, di un’imposizione demiurgica dall’alto, ma è sorto da un percorso partecipativo, che ha visto sintetizzarsi le istanze e gli interessi dei vari attori coinvolti, dai sindacati alle imprese. Di questo riferisce sul giornale il Bo dell’ateneo Luca Picotti. Secondo Palumbo, prima ancora che sull’idea di partecipazione, su una apparentemente lapalissiana constatazione: la prima caratteristica innovativa di questo piano è il suo esserci. In Italia non vi è mai stata una strategia orientativa per coordinare il settore turistico. Gli operatori del turismo hanno sempre operato in modo indipendente, ognuno secondo la sua strategia, senza linee guida comuni. Il piano – insiste il dirigente del governo è volto a superare questa frammentazione attraverso una sorta di politica economica del turismo, una policy codificata di settore per essere più precisi; un’impresa titanica, considerato che la riforma costituzionale è stata bocciata e il turismo rimane quindi materia esclusiva regionale, ipotesi forse non prevista dal governo quando sono partiti i lavori per il piano strategico un anno fa. Il piano si dilata in un orizzonte temporale che va dal 2017 al 2022. L’obiettivo primario è quello di fornire uno strumento orientativo per i prossimi sei anni, con revisioni biennali e un’organizzazione annuale di attuazione dei vari progetti. In questo modo si evita un sistema cristallizzato, permettendo un continuo aggiornamento in base alle nuove esigenze e ai diversi interlocutori. Il PST poggia su quattro macrostrategie e 52 linee di intervento da seguire nel corso dei sei anni. Il punto di partenza sta nella valorizzazione del territorio e del patrimonio, secondo il principio di una valorizzazione “integrata”. L’obiettivo è quello di promuovere non solo i tradizionali nuclei attrattivi ma anche i piccoli borghi e il contesto paesaggistico-culturale, il “vivere italiano” nella sua autenticità. Come si può leggere dal documento del PST, “la differenziazione della offerta turistica consente di decongestionare le tradizionali mete turistiche, riequilibrare le destinazioni e destagionalizzare i flussi turistici”. Per evitare che questi propositi non si riducano a mere velleità, è necessario, come previsto dal piano, accrescere la competitività attraverso la formazione e qualificazione degli operatori turistici – questo, se svolto con diligenza, potrebbe aiutare nella lotta contro la disoccupazione giovanile – e con l’alleggerimento burocratico. Accanto al territorio e alla competitività, un altro elemento fondamentale è costituito dall’integrazione-interoperabilità. L’obiettivo sarà quello di promuovere scelte condivise e coordinare organizzazioni diverse ed eterogenee.

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