Galileo Galilei – a Padova fra il 1592 e il 1610 – osservava il cielo con il cannocchiale, non dalla torre della Specola, trasformata in osservatorio 250 anni più tardi, e nemmeno da quella di porta Molino, dove una targa, ideata da Carlo Leoni per dare lustro al luogo, dà la fantasiosa indicazione che lo scienziato da lì osservasse il firmamento. Lo faceva dalla finestra e dall’orto della sua casa padovana, in quella che oggi è via Galilei. Da lì svelò le vallate e le montagne sulla superficie lunare, da lì scrutò gli “astri medicei”, le quattro lune di Giove. Giovanni Poleni, ingegnere idraulico e anche appassionato di astronomia, nel Settecento costruì nella sua casa di via Beato Pellegrino una linea meridiana; nella stessa stanza posizionò numerosi cannocchiali, grazie ai quali studiava i corpi celesti. Osservare il cielo, per il Poleni – come per Galileo e per gli altri studiosi delle stelle – rimase a lungo a Padova un affare privato. Di specole invece già da tempo ne esistevano in molti luoghi, a Parigi come a Cambridge, Oxford, Vienna e anche a Bologna, Milano e Pisa. Nel 1757 il titolare della cattedra di Astronomia e meteore dell’università di Padova, Gian Alberto Colombo, si lamentava del fatto che gli astronomi stranieri con cui veniva in contatto rimanessero attoniti al sapere “che io non aveva né Specola né Stromenti, e che però mi era del tutto impossibile l’osservare le cose del Cielo”. Di questo si occupa un servizio pubblicato sul giornale il Bo dell’ateneo di Padova. Nel 1761, i Riformatori dello Studio, anche in virtù delle lamentele (come pure delle argomentazioni) di G.A.Colombo, decretarono la costruzione della Specola padovana, con uno stanziamento annuo di mille ducati. A reggere la cattedra di Astronomia era in quel momento Giuseppe Toaldo, arciprete di Montegalda, che si adoperò per la realizzazione dell’osservatorio. Visitò le specole di Bologna e Pisa (quella di Milano non era momentaneamente accessibile) per valutarne struttura e strumentazione e preparare un progetto per la nuova costruzione, che stese in accordo con l’architetto Domenico Cerato, suo amico e compagno di studi in seminario. Per questioni economiche si decise di procedere attraverso l’adattamento di una struttura già esistente, da individuare in città; perché le osservazioni astronomiche fossero possibili, l’edificio da convertire avrebbe dovuto garantire un’altezza tale da superare i tetti di tutti gli edifici circostanti. Per questo motivo, la prima struttura considerata fu la torre del palazzo principale dell’Università, il Bo; a quella venne in un secondo momento preferita, ricorda l’abate Toaldo, “l’alta Torre del Castel vecchio, Torre, che denominavasi alta fino nel nono secolo”, la Torlonga del castello carrarese. I lavori vennero avviati nel 1767, all’indomani del conferimento dell’incarico a Domenico Cerato di costruire la Specola e a Toaldo quello di fare da consulente della fabbrica. Diversi disegni dell’architetto e dei suoi studenti della Scuola di architettura restituiscono le condizioni in cui versava la Torlonga.