La Quaresima è un periodo di rinunce e di penitenze, un’occasione di carità e preghiera, di vita sobria. Ma il giovedì della III settimana di Quaresima, che segna la metà del percorso penitenziale verso la Pasqua, avveniva in passato una sorta di leggera sosta dei rigori, riemergendo il desiderio di gioire, quello che nel Carnevale era appena stato espresso in modo tanto allegro, quasi una pausa prima dei solenni cortei penitenziali che caratterizzano i giorni della Settimana Santa. La tradizione della “vecchia” di mezza Quaresima, anche se con nomi e modalità diverse, era svolta in tutta Europa sin dal Medioevo fino ad arrivare all’Ottocento, come ricordato da diverse fonti. L’origine di quest’usanza derivava da un’antichissima tradizione. La Quaresima veniva raffigurata con il fantoccio di una megera, detto “la vecchia”, ornato di collane di frutta secca ed esposto in piazza, bruciato o annegato come eliminazione metaforica della povertà o come atto purificatorio e propiziatorio per i buoni raccolti della nuova stagione. L’antico rito ripescato divenne “la vècia di mezza Quaresima”. Il rogo della vecchia lasciava definitivamente alle spalle l’inverno e operava la magia di affrettare l’arrivo della primavera.
Col trionfo del Cristianesimo la tradizione della festa della “vecchia” si è confusa con quella della “mezza Quaresima”, quando la Chiesa, per smorzare i rigori e l’austerità del periodo penitenziale, permetteva una pausa prolungando i festeggiamenti tipici del Carnevale. Non è facile stabilire con sicurezza la regione d’origine di una tradizione popolare. E’ un grande universo i cui confini sono di varia estensione e con l’andar del tempo l’antico significato del rito sparisce e viene sostituito con la festa di qualche altro evento. In ogni caso la preoccupazione principale è quella di assicurare la fertilità dei campi, l’abbondanza del raccolto, la fecondità. In varie regioni d’Italia e anche nel Veneto si bruciava la strega (brùsa la vècia), un fantoccio fatto di sterpi, canne e stracci, capro espiatorio dei mali subiti dalla comunità, tradizione simile a quella dei falò del giorno dell’Epifania e che a volte a questa si sostituisce. Si leggeva il suo simbolico testamento in cui, pentita dei suoi peccati, donava a tutti quello che di buono si può immaginare, propiziando il futuro. A Peschiera si bruciava la vecchia tra schiamazzi e gioia dei presenti, mangiando le frittelle rituali. Anche a Venezia fin dal Settecento si usava questo rito. Recentemente nel trevigiano si usava celebrare un simbolico “processo alla stria”, simbolo dell’inverno e accusata di tutti i mali. Qui, dopo la prima guerra mondiale, la tradizione di ardere la “vècia” perse la sua importanza perché il processo burlesco non era molto gradito alle autorità; ma l’usanza si è conservata grazie alle osterie di periferia e soprattutto di campagna, che tenevano viva la manifestazione per richiamare clienti con una attrazione che rompeva la monotonia dell’inverno e invogliava la gente ad uscire di casa. Sino agli anni ‘50 questo rito era particolarmente diffuso in Toscana, Emilia-Romagna ed Umbria. La tradizione resta viva anche oggi in Campania, soprattutto in provincia di Caserta; consuetudine molto popolare anche sulla destra del Tagliamento, a Pordenone e in molte località delle province di Brescia e Bergamo dove è in uso il segare la vecchia in due (sèga la vècia). Anche la data dell’esecuzione della “vècia” può variare dal giovedì di metà Quaresima in Alto Adige o alla notte di San Giuseppe in Emilia, sempre prima che arrivi la primavera. Ma tale festa non ha solo tradizioni italiane; si ha testimonianza, infatti, che essa, pure in modi diversi, veniva celebrata in vasta parte dei territori già dell’antico Impero Romano ed oltre. L’area di diffusione del rito comprendeva pressoché tutta l’Europa, dal Portogallo ai paesi di lingua francese e tedesca e a quelli di cultura slava. (odm)

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