L’archeologo Paolo Biagi del Dipartimento di Studi sull’Asia e sull’Africa Mediterranea di Cà Foscari di Venezia, ha scoperto pozzi di estrazione dell’ossidiana sul Monte Chikiani, in Georgia. Il ritrovamento porta maggior chiarezza su tutta l’attività mineraria preistorica europea. Pozzi minerari di estrazione dell’ossidiana, infatti, non sono mai stati rinvenuti in Europa dove, nei monti Carpazi, ad esempio, il materiali litico vulcanico veniva raccolto in superficie sotto forma di “bombe” di diverse dimensioni. Ancora nel IV e III millennio avanti Cristo, quindi, l’ossidiana era tanto importante nell’economia generale degli abitanti che l’estrazione di blocchi di vetro vulcanico veniva pianificata secondo modalità complesse di cui ancora sappiamo molto poco. Nelle Età chiamate “dei Metalli”, giocava ancora un ruolo fondamentale l’utilizzo della pietra scheggiata per la confezion” di oggetti di uso quotidiano. I minatori caucasici salivano sull’Altipiano di Javaketi, nell’odierna Georgia, dove nella parte nordorientale del Lago Paravani si innalza il Monte Chikiani (o Koyun Dag), un duomo vulcanico arrotondato caratterizzato da imponenti colate di ossidiana, prodottesi circa 3 milioni di anni fa. Qui, lungo le sue pendici settentrionali, avevano aperto centinaia di pozzi minerari, probabilmente non molto profondi ad oltre 2200 metri di altezza, i cui imbocchi sono ancora chiaramente visibili, accompagnati da scarti derivati dall’attività estrattiva. Grazie ai pozzi, raggiungevano lo strato di ossidiana nera, grigia, arancio o venata di rosso. Durante l’ultima ricognizione sulla sommità dell’antico vulcano, condotta nell’estate scorsa da Biagi con il professor Renato Nisbet e con l’aiuto di studenti dell’Università statale di Tbilisi sono stati riconosciuti gli imbocchi di circa 250 pozzi di estrazione dell’ossidiana lungo le pendici settentrionali della montagna. Oggi si presentano come depressioni più o meno circolari, profonde circa un metro, riempite di materiali di risulta del loro sfruttamento in età preistorica, e sono circondate di reperti archeologici. L’ossidiana estratta dai pozzi veniva poi scheggiata in officine riconosciute dai ricercatori talvolta nei pressi dei pozzi stessi. Di queste ne sono state rinvenute sinora almeno otto, anche se il loro numero è certamente molto più elevato. Dal vulcano di Chikiani i prodotti scheggiati venivano trasportati nei siti preistorici circostanti, distribuiti nel raggio di centinaia di chilometri seguendo itinerari e con modalità che non sono mai state studiate sinora in modo sufficientemente accurato. “Ci troviamo all’inizio di una ricerca che ha moltissimi interrogativi aperti – ha dichiarato Biagi – ad esempio, non sappiamo seguendo quali itinerari i minatori raggiungessero l’Altipiano di Javaketi, parzialmente forestato sino all’età del Bronzo, almeno sino a 2000 metri di quota, e come erano organizzati. Sappiamo però che l’attività di estrazione doveva essere condotta stagionalmente, a causadelle bassissime temperature invernali che portano alla completa glaciazione del bacino di Paravani, e della copertura nevosa che interessa la regione per sei mesi all’anno. Quel che è certo, è che ci troviamo di fronte ad aspetti finora ignoti che riguardano l’organizzazione di una civiltà complessa delle età dei metalli delle popolazioni in possesso della cosiddetta Kura-Araxes”. A sorprendere gli archeologi sono anche le centinaia di tumuli funerari, i famosi kurgan, disseminati nell’area seguendo modalità di dislocazione e orientamenti ben precisi. Complessi megalitici comprendono anche allineamenti di enormi massi lunghi più di 100 metri, secondo Paolo Biagi e Renato Nisbet, e un betilo (grande pietra con funzione sacra) quasi ad indicare l’importanza della località. In una nota-news di Cà Fosacri è detto che le ricerche nella regione di Javaketi, condotte in collaborazione con l’Università Statale di Tbilisi, il cui Istituto di Archeologia è diretto dal prof. Vakhtang Licheli, e con il CNRS dell’Università di Orléans, per la caratterizzazione delle ossidiane, eseguita dal prof. Bernard Gratuze, vengono portate avanti grazie ai finanziamenti delle Ricerche Archeologiche dell’Università Ca’ Foscari e dell’EURAL-Gnutti Spa.